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Gideon e la poetica degli autori

Nel 1979 abbiamo conosciuto Gideon Bachmann e la sua compagna Deborah Beer in occasione della prima retrospettiva completa in Italia che Cinemazero dedicava a Pier Paolo Pasolini. Manifestazione che comprendeva, oltre naturalmente a tutti i suoi film, una mostra fotografica sul cinema pasoliniano. Graziella Chiarcossi, nipote ed erede di Pier Paolo Pasolini, ci segnalò Gideon Bachmann, un giornalista-fotografo ebreo che aveva seguito Pasolini in maniera particolare negli ultimi quindici anni. Bachmann all'epoca ci donò gratuitamente il materiale per allestire l'intera mostra. Da buon collezionista aveva, oltre alle fotografie da lui e da Deborah Beer scattate sui set di Pasolini, anche moltissime foto di tutti i film pasoliniani. Nel corso del tempo il rapporto con Gideon Bachmann è rimasto sempre intenso e costante. Nato in Germania, dalla quale scappò con i genitori durante il nazismo per evitare i campi di concentramento, Gideon studiò e crebbe a New York, ospite di uno zio. Si manifestarono subito i suoi interessi per la fotografia e il cinema tanto che condusse per anni una trasmissione radiofonica diffusa all'epoca in tutti gli States. Ancora lo scorso anno un critico a Cannes ricordava con ammirazione quelle trasmissioni, alla radio, sul cinema. Alla fine degli anni '50 conobbe Federico Fellini, in trasferta a New York per presentare Le notti di Cabiria, film premio Oscar, e in quell'occasione lo intervistò per la sua rubrica radiofonica. Subì il fascino e la seduzione del magico mondo felliniano tanto da decidere di venire in Italia per seguire la Mostra del Cinema di Venezia dove quell'anno 1961 presentavano Accattone di Pasolini. Al termine della conferenza stampa Bachmann avvicinò Pasolini per approfondire degli argomenti e il poeta regista nel caos del dopo conferenza rispose: "Venga a trovarmi a Roma così ne parliamo!". Cosa che Gideon Bachmann fece dando avvio ad una amicizia che terminerà con la morte di Pasolini. In quegli anni seguì, poi, la lavorazione di 8 ½ per poter scrivere un libro su Fellini per conto di un editore americano. Non rientrò più negli States e si stabilì definitivamente in Europa. A Roma visse nella mitica torre del Grillo, con affaccio sui fori imperiali. Un giorno, appena acquistata, gli rubarono sotto casa l'Alfa Romeo cabriolet, rossa fiammante. Lo stesso giorno tornò al concessionario ed acquistò una nuova, identica, auto. A Roma, nei mitici anni '60, scriveva per varie testate americane lunghi articoli che corredava con sue foto, registrava centinaia di interviste tanto da ritrovarsi alla fine della sua carriera, un poderoso, ed unico nel suo genere, archivio sonoro. In quegli anni seguiva a Roma non solo il lavoro di Fellini, ma anche quello di Pier Paolo Pasolini e con entrambi stabilì un solido legame di amicizia. Questo grazie anche alle sue interviste che erano in realtà lunghe, articolate e approfondite discussioni sui più svariati argomenti: dal cinema alla politica, alla filosofia.

Una capacità empatica e intellettuale unica e irripetibile ha sempre caratterizzato il lavoro di Gideon Bachmann. Questa sua curiosità per il mondo lo portò, sul set di Fellini Satyricon, a girare in 16 mm il primo backstage della storia del cinema quel Ciao, Federico! che raccontava, in maniera originale e spesso sottilmente ironica, il lavoro del maestro riminese sul set del film.

 

Bild aus Bachmanns Ciao, Federico (1970)

 

Gideon riuscì a fare di Ciao, Federico! non solo un backstage, ma un vero e proprio film sul film, un lavoro che aveva una sua anima e una sua struttura vitale talmente definita da poter vivere anche sganciato dal film stesso di Fellini. Gideon Bachmann nel 1975 si trovò a seguire, poi, tutta la lavorazione dell'ultimo film di Pasolini Salò o le 120 giornate di Sodoma dove la sua compagna Deborah Beer era fotografa di scena esclusiva. Bachmann avrebbe dovuto girare il backstage che non portò a termine anche per la tragica, violenta morte di Pasolini nel novembre dello stesso anno. Sull'opera di Pasolini Gideon Bachmann aveva lucidamente detto:

In un autore complesso come Pasolini è difficile giudicare la sua opera. Succede spesso che alcune cose, oscure anche al suo creatore, vengano giudicate a distanza di anni con occhio diverso in base ai cambiamenti di sensibilità che nel frattempo intervengono. Nessuno di noi oggi è la stessa persona che è stata ieri. Nel corso del tempo quindi non è la percezione della figura di Pasolini che cambia, ma siamo noi che cambiamo nel dare un giudizio. Lui non era un vero e proprio regista. Metteva in scena delle situazioni e le filmava. Salò ad esempio è un film che si potrebbe anche ascoltare soltanto.

Di tutti gli intellettuali a cui veniva spesso chiesto cosa direbbe oggi Pasolini Bachmann era l'unico, seppur con apparente cinismo, ad affermare in maniera provocatoria e lucida:

“Sono morto in tempo!” questo direbbe. Penso che Pasolini confermerebbe, se fosse qui, che la sua morte è venuta al momento giusto. In una delle ultime interviste dichiarò di non credere più a nulla, ma che in ogni caso faceva finta ancora di crederci. La sua morte ha contribuito, seppur in maniera tristemente tragica, a farlo conoscere maggiormente. Non sarebbe stata la stessa cosa se fosse morto normalmente, in un letto di ospedale. Sembra una contraddizione, ma la morte fa parte della vita, della biografia di una persona.

Alla fine degli anni '90 Gideon Bachmann, rimasto prematuramente vedovo, donò tutto il suo poderoso archivio a Cinemazero. Con il suo materiale sono state organizzate bellissime mostre in diversi prestigiosi luoghi, come il Festival di Cannes per le foto scattate sul set di 8 ½ quaranta anni prima o l'inaugurazione del museo nella casa natale riminese di Fellini. Momenti che vedevano sempre la sua presenza in forma di testimonianza. Dall'incredibile quantità di interviste registrate con moltissimi autori del cinema è stata estrapolata una piccolissima parte di queste interviste, quelle con Pier Paolo Pasolini, raccolte in un prezioso volume Pier Paolo Pasolini. Polemica politica potere – Conversazioni con Gideon Bachmann per le edizioni Chiarelettere (2015). Con una parte del materiale e le foto sul set di Salò Giuseppe Bertolucci ha portato a termine uno dei suoi ultimi poetici lavori: Pasolini prossimo nostro (2006). Tantissimo altro materiale resta ancora da scoprire, rivalorizzare e catalogare. Bachmann girò, infatti, anche tre documentari sul movimento culturale newyorkese degli anni '60, con uno dei quali vinse un Leone d'Argento a Venezia. Gli ultimi anni, li ha trascorsi nella terra natale, quella Germania dalla quale era scappato da bambino. A Karlsruhe diresse per anni una scuola di cinema a livello europeo dove avviava giovani laureati delle diverse facoltà di cinema per svolgere stage formativi, pagati dalla scuola di cinema stessa, sui set dei diversi film che erano in produzione in quel momento. La personale conoscenza di decine e decine di registi permetteva a Bachmann di piazzare giovani laureandosi sui set europei con grande facilità... Nessuno come lui ha frequentato tanti festival cinematografici in giro per il mondo: da Venezia dove per anni ha condotto le conferenze stampa, così come a Locarno, a Tel Aviv, a San Sebastian, vero cittadino del mondo – conosceva sei lingue – sempre con uno sguardo acuto e attento. A febbraio 2017 avrebbe compiuto 90 anni Gideon Bachmann, fotografo, giornalista, studioso di cinema, critico, intellettuale, regista e tanto altro ancora. Con lui se ne va un pezzo di storia del cinema anche se, fortunatamente, non ha mai dimenticato di raccogliere testimonianze, documenti e materiale e lasciar poi tutto in custodia. È stato un maestro, senza mai farlo pesare come fanno i veri maestri, come quel giorno, che uscendo da una proiezione festivaliera dissi: "Che noia, il regista alla fine fa sempre lo stesso film!". Lui mi guardò scuotendo leggermente la testa e sorridendo rispose: "Assolutamente no! Approfondisce i temi della sua poetica!".

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Bildnachweis: © Marie Falke