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“Una zona di tempo / schiuma delle ere” Lirica e storiografia in Historiae di Antonella Anedda

 

La poesia scritta da donne è veramente vo­ta­ta all'informale e contemporanemante pri­va di qualsiasi profondità d'analisi storica, co­me dice Menagaldo nella sua celebre intro­du­zione a Poeti Italiani del Novecento? Molti po­eti italiani hanno sconfessato questo avam­posto critico a partire dalla seconda me­tà del Novecento. Antonella Anedda può es­sere facilmente accostata a questa te­den­za, particolarmente per quanto riguarda la sua ultima raccolta pubblicata, Historiae (2018). In quest'ultimo libro, Anedda riesce con efficacia a coniugare la natura meta-sto­ri­ca della voce femminile con la sua volontà di essere testimone all'interno della Storia. In­fatti, la narrazione di traumi privati tende ad essere amplificata fino ad essere so­vrap­posta a ferite storiche collettive; grazie a que­sto meccanismo, la poesia è destinata a ri­velare il proprio movimento sublimatorio in­terno. Questo saggio si propone di ana­lizzare la collocazione del Soggetto all'interno del libro di poesia, Historiae, al fine di connet­terlo poi alla dimensione sopra-indi­vi­duale della Storia. All'intenro di questa cor­ni­ce teorica, sarà introdotta la formula di "li­ri­smo storico" come la categoria critica più adat­ta al fine di analizzare una così com­ples­sa fenomenologia poetica.   Is poetry written by women truly informal while also lacking in depth of historical analysis, as stated by Mengaldo in his well-known introduction to Poeti Italiani del Novecento? Many Italian women poets have been demonstrating the unreliability of this critical standpoint since the second half of the 20th century. Antonella Anedda can be easily be part of this particular lineage with a particular regard to her last published poetic collection, Historiae (2018). In her last book, Anedda manages to effectively conjugate the meta-historical nature of female writing with her role of witness within History. Indeed, the narration of private traumas gets amplified and tends to be overlapped with historical and collective wounds; thanks to this mechanism, poetry is also in charge of revealing its inner movement towards sublimation. This essay will analyse the collocation of the poetic Subject within the book of poetry, Historiae, by connecting it also to the extra-individual dimension of History. Within this critical frame, the label of "historical lyricism" will be proposed as the most suitable category for the analysis of this entangled poetic phenomenology.
     

 

Secondo una vulgata stabilmente radicata all'interno della critica letteraria italiana, la poesia scritta da donne si costituirebbe come un oggetto interamente ripiegato su sé stesso e votato all'informale. Pier Vincenzo Mengaldo è fra i primi a prevedere la ragionevole critica mossa alla sua antologia di poeti novecenteschi[1], basata su un solido canone maschile che include solo Amelia Rosselli come unica voce femminile, giustificando questo impianto attraverso due principali affermazioni. Dal punto di vista formale, la poesia scritta da donne tenderebbe ad un ridimensionamento dello stile e della forma rispetto all'urgenza del contenuto. Dal punto di vista tematico, la scrittura poetica femminile si caratterizzerebbe per una forte tendenza astorica, quasi una poesia del disimpegno. Secondo una simile postura critica, questo avverrebbe a causa di un rapporto minoritario fra poesia femminile e storia: sia a causa del suo posizionamento sull'hic sunt leones della storiografia letteraria (la storia, anche letteraria, difficilmente viene scritta da chi ne è apparentemente escluso), sia per una preferenza quasi endemica nei confronti della dimensione privata e più ingenuamente lirica della poesia.[2]

Assumendo la limitatezza dell'avamposto critico dell'écriture feminine[3], è quindi legittimo domandarsi se il principale orizzonte di senso di questo stile sarebbe da limitare al genere diaristico, al fantastico, al privato e allo psicologismo o se esso sia in qualche modo interessato da un'apertura documentaristica e storica che superi l'auto-scopia lirica.[4] Il pericolo, al contrario, è quello di una grossolana generalizzazione che sovrapponga acriticamente la poesia scritta da donne alla supposta immediatezza ed a-storicità del genere lirico. Per questo motivo, è utile un'ulteriore categorizzazione che aiuti a definire i rapporti fra poesia come iperonimo stilistico del genere lirico ed invece un tendere verso un lirismo contenutistico e tematico.

1. kind lirico / genre lirico

Elio Pagliarani ha fornito una definizione in grado di inquadrare la complessità e le contraddizioni interne alle modalità di scrittura "lirica":

L'identificazione lirica=poesia (la parte per il tutto) ha, tra i suoi speciosi corollari, l'identificazione del kind lirico con il genre lirico, dove il primo termine qualifica invece il genere come categoria psicologica, portatore di determinati contenuti dell'opera di poesia e il secondo qualifica il genere come portatore di tradizioni stilistiche. (Pagliarini 2006, 459s.)

Applicando questo tipo di modello, un testo poetico può ricadere al di sotto dell'etichetta di genre lirico, proprio in quanto rispettoso di una serie di istituti stilistici che contribuiscono alla definizione di una categoria letteraria (da una particolare trattazione del Soggetto come centro del discorso poetico anche a livello pronominale, fino al ricorso a forme metriche chiuse), ma non per questo essere necessariamente il riflesso di un kind lirico, ovvero di un approccio narrativo per il quale la narrazione tenderebbe a ripiegarsi sull'esperienza privata, su una certa trattazione psicologista di alcune tematiche e su una postura spiccatamente confessional.[5]

La poesia femminile in generale, ed anche lo specifico caso che sarà preso in esame, ovvero la raccolta Historiae di Antonella Anedda, sono state spesso accusate da critici autorevoli quali il già citato Mengaldo, ma anche Manacorda[6] ed Afribo,[7] di uno sbilanciamento evidente nei confronti di quello che è stato definito come kind lirico. A partire dagli anni Sessanta, il decennio che Testa individua come l'origine del sovvertimento del canone lirico all'interno della sua antologia (cf. Testa 2005, VII-XI), è possibile riconoscere una dinamica nuova all'interno della scrittura poetica femminile. Si assiste infatti all'aumento esponenziale delle voci femminili all'interno del canone italiano[8] e contemporaneamente alla trattazione di tematiche nuove che possano coniugare il genre lirico all'urgenza di documentazione storica. Da Amelia Rosselli e Elsa Morante, passando per Biancamaria Frabotta e Margherita Guidacci,[9] si accumulano esempi di scrittura poetica femminile che non si siano limitati ad un'auscultazione e scrittura del privato. Il percorso che conduce alle lotte per l'emancipazione della donna negli anni Settanta è il principale meccanismo che stimola quest'urgenza comunicativa; quella stessa meccanica che Frabotta individua nella possibilità di realizzare efficacemente un compromesso fra la natura metastorica della scrittura femminile (ovvero la subita condizione di subordinazione alle logiche del canone e la rappresentazione di questo conflitto come interno alla propria storia privata e personale) e il suo essere testimone della Storia collettiva.[10]

La poesia di Antonella Anedda si colloca perfettamente sul vettore congiungente gli estremi entro i quali la natura della poesia femminile contemporanea sembra essere inclusa. L'ultima opera dell'autrice, Historiae (2018), sistematizza la propria riflessione sul genre lirico e sulla rappresentazione della Storia collettiva e delle storie private. Il titolo tacitiano tradisce il tentativo di rappresentazione della dimensione privata all'interno di quella pubblica. Dall'altro lato, l'ultima raccolta poetica di Anedda si propone come riflessione sulle potenzialità di rappresentazione di un medium – quello del discorso lirico – e di contenuti che apparentemente non sembrano rientrare all'interno degli stilemi di questo genere.[11] La rappresentazione della Storia collettiva all'interno della poesia diventa quindi l'occasione per un rinnovamento di una categoria letteraria anche attraverso una sua teorizzazione sviluppata dai testi poetici accolti all'interno del volume. Questa profonda frattura viene praticata da Anedda per mezzo di tre principali dicotomie che costituiscono la base del discorso poetico sviluppato in Historiae: soggetto lirico / soggetto storico, evento privato / evento storico e Storia / Geografia.

 

 Vid.1. Lettura di Antonella Anedda

 2. soggetto lirico / soggetto storico

Il problema riguardante la costituzione del Soggetto non solo è fondamentale per la questione del genre lirico, ma soprattutto in quanto riflessione riguardante un modo narrativo. La scrittura della Storia, considerabile anch'essa come categoria letteraria, pone interrogativi simili a quelli posti dalla lirica riguardo a questo avamposto di enunciazione. Il discorso riguardo al rapporto possibile fra lirica e Storia è complicato inoltre da un'apparente inconciliabilità dei due modi narrativi adottati da queste categorie letterarie.

Questa relazione problematica ed apparentemente inconciliabile sembra sostenersi interamente sull'opposizione fra fiction e mimesis: la lirica può essere più facilmente ricondotta all'interno dei domini del primo elemento, mentre la storiografia ambirebbe ad un rapporto di tipo mimetico con la realtà, lasciando intendere che non esista un filtro fra l'evento e la sua trascrizione. Successivamente alla svolta nei paradigmi teorici della storia culturale, nota come linguistic turn (Hunt 1989, 97-130), sappiamo come tale presunta scientificità della storiografia sia stata messa fortemente in discussione. Entrambe sono costruzioni linguistiche e, proprio in quanto costruzioni linguistiche, posseggono una distanza dal reale originata dalla distanza oggetto reale (l'evento storico o letterario fittizio) e la sua rappresentazione (ovvero le modalità di ricostruzione di questo oggetto attraverso l'atto di produzione linguistica e la sua narrazione).[12] In questo senso, lo storico Hayden White ha portato alla luce la natura di costruzione narratologica della storiografia, evidenziandone i profondi punti di contatto con la scrittura letteraria (cf. White 1975, 1-42), con la quale condivide gli stessi registri, le figure retoriche (cf. White 1978, 101-120) ed un Soggetto narrante o descrivente come centro di verbalizzazione. Proprio in quest'ultimo elemento risiede il massimo punto di distanza fra il genre lirico e quello storico.

La lirica, infatti, possiede come suo centro un Soggetto fittizio, una maschera autoriale che fa spesso le veci dell'autore all'interno del discorso poetico.[13] Questo discorso è inoltre pronunciato da una voce che tendenzialmente si esprime in prima persona, stimolando un movimento identificativo nel lettore che tende a sovrapporre quest'istituto alla persona fisica autrice del testo.[14] L'immediatezza di questo collegamento viene ancor più stimolata nel momento in cui nel testo sia possibile identificare una compresenza fra genre e kind lirico, dove la struttura del componimento sia completata anche da una decisa scelta tematica, sbilanciata verso una narrazione di eventi privati e personali.

La scrittura della Storia, al contrario, invita ad un'espunzione della vocalità soggettiva.[15] La narrazione storica esige una scientificità nella quale il Soggetto, che nella lirica esprimeva l'evento della propria esperienza per mezzo dell'istituto dell'Io, scompaia per lasciare posto alla nudità dei fatti. Il soggetto – che per comodità ora definiremo come "storico" – funziona in questo caso come nodo di senso in grado di fornire consequenzialità agli eventi, stabilirne i rapporti di casualità, per poi trascriverli fingendo la propria assenza. È utile, perciò, rivolgersi ancora una volta a quanto osservato da White in merito alla natura del Soggetto all'interno della narrazione storica:

The archetypal plot of discursive formations appears to require that the narrative "I" of the discourse move from an original metaphorical characterization of a domain of experience, through metonymic deconstructions of its elements, to synecdotic representations of the relations between its superficial attributes and its presumed essence, to, finally, a representation of whatever contrasts or oppositions can legitimately be discerned in the totalities identified in the third phase of discursive representation. (White 1978, 5)

Il processo di scrittura storica da parte della voce narrante diventerebbe quindi un tentativo di allontanamento dalla dimensione singola e "archetipica" dell'Io, volto alla rappresentazione metonimica di una collettività nella quale il Soggetto sembra perdersi e dalla quale rimarrebbe apparentemente assorbito. Il fine, di nuovo, è quello di realizzare quella pretesa di impersonale scientificità di cui la storiografia sente il bisogno di farsi carico.

Riprendendo una tradizione ormai consolidata nella lirica italiana contemporanea a partire dagli anni Sessanta,[16] Anedda si muove in Historiae sulla linea congiungente questi due modi narrativi, aspirando alla creazione di un nuovo soggetto lirico, prodotto dall'ibridazione di scrittura poetica e storiografia, ovvero di un Soggetto fictional e di un Soggetto non-fictional.[17] Nella prima sezione intitolata Osservatorio, vero avamposto di indagine e teorizzazione poetica dell'intera raccolta, questo difficile compromesso viene sviluppato per mezzo di una riflessione intorno ai pronomi, fulcro grammaticale dell'espressione soggettiva. Nella prima sezione della raccolta, viene indagata una possibilità narrativa per mezzo della quale i pronomi arrivano addirittura a scomparire dall'orizzonte testuale. Nel componimento Sciami, fotoni, la modalità narrativa del soggetto storico viene presentata inizialmente come un'epifania topica "verso un luogo dove s'irradia luce / e non esistono pronomi" (p. 13),[18] dove la dimensione di scrittura della Storia è quella in cui "Non esistono nomi, autrici, autori" (p. 18). Come già emerso, questa utopia dell'impersonalità è fortemente ancorata ad un'interrogazione intorno alla natura dei pronomi, dove l'io è poco più che un modo grammaticale della narrazione alla quale la lirica deve aggrapparsi, rifuggito, invece, dalla narrazione della Storia. Si legge nel primo componimento della suite Nuvole, io: "Io con l'io mi nascondo/ chiamando a raccolta quello che sappiamo: / abbiamo paura, ancora non è chiaro come finirà la storia." (p. 20) Questo procedimento è completato per mezzo di un ricorso alla prima persona plurale che realizza un primo tentativo di smarcamento dalle maglie della singolarità lirica (cf. Richardson 2015, 200-212), realizzato nei componimenti successivi per mezzo di una focalizzazione posta sul soggetto della poesia ricorrendo alla terza persona singolare: "lei, la me stessa" che arriva ad interrogarsi riguardo all'effettivo scorrimento del tempo all'interno della propria narrazione, "Era tornato il tempo? Scorreva nuovamente qualcosa?" (p. 21). L'utilizzo di questa forma fittizia costituisce un attraversamento necessario al fine di produrre una poesia che non sia più semplicemente un riflesso narcisistico della rappresentazione del mondo, ma che finalmente sia uno strumento di indagine del mondo (cf. Culler 2015, 304s.). Il soggetto prodotto da questo esperimento narrativo è prima di tutto un avamposto noetico in grado di esplorare la realtà e la sua consistenza storica, con il fine di separare l'allucinazione lirica dal vero fattuale: "La mia mente imparziale cerca di separare reale da irreale / ma il nostro passato è cresciuto / tanto da non poterlo fendere / né attraversare a piedi" (p. 28).

Quello realizzato da Anedda è, appunto, un tentativo di parziale spersonalizzazione del soggetto storico che, nella dimensione del verso, fatica a liquidare la propria dimensione lirica. La narrazione lirica tende perciò a riemergere nelle sezioni successive dell'opera, nelle quali il soggetto diventa il protagonista dei propri ricordi, della narrazione della propria sofferenza e dei propri lutti. La dimensione lirica non viene sostanzialmente abolita, ma torna piuttosto a riemergere in una rete di eventi extra-soggettivi che il soggetto tenta di storicizzare. Il mezzo è quello di una connessione orizzontale empatica con la dimensione dell'altro da sé, una connessione che viene sicuramente facilitata dall'esercizio dell'empatia svolto attraverso la narrazione lirica. Il soggetto storico rimane invischiato all'interno di una simile dinamica, in cui però "tutto si perde e torna in altre forme" (p. 25).

3. evento privato / evento storico

Quali sono dunque queste forme? Sono le forme della scrittura biografica e di quella storica. Esse cercano di risolvere quell'interrogativo riguardo a come entrambe possano coesistere all'interno di una categoria testuale come quella di poesia lirica.

Il problema di rappresentazione della realtà storica per mezzo del Soggetto lirico funge da raccordo fra la prima e la seconda sezione della raccolta. Anedda pone infatti in epigrafe un breve testo in cui riemergono gli interrogativi riguardo la consistenza pronominale del soggetto lirico e la sua possibilità di assurgere alla funzione di testimone e narratore della storia: "ci sono tracce? O sento solo io i perduti, gli stranieri, / i prigionieri tempestati di spine, le loro voci" (p. 33). La discussione di queste possibilità risulta fondamentale per l'intero impianto della raccolta. Su questa apparente inconciliabilità si fonda infatti la seconda dicotomia fra evento privato e storico.

Da un lato, la narrazione della dimensione privata si trova prodotta attraverso una serie di epifanie di senso: questi momenti sono funzionali al Soggetto al fine di ricostruire una propria storia per mezzo di una forte rivendicazione identitaria. Un attraversamento temporale di un passato personale e limitato ma che aspira ad una ricostruzione globale di significato. I testi che si confrontano direttamente con la dimensione del privato si concentrano soprattutto nella seconda sezione di Historiae: uno dei principali focus è posto infatti sulla ricostruzione del rapporto con la madre recentemente scomparsa. In questo contesto, il kind lirico viene realizzato per mezzo di una delle sue principali posture, ovvero quella elegiaca. Muovendo da un ricordo, quasi un'emersione involontaria stimolata solitamente da un oggetto triviale o da un riferimento esterno, Anedda ricostruisce una narrazione che sia funzionale ad uno scavo nella propria dimensione micro-storica. Il risultato è quello di un attraversamento del passato volto a delineare una personale Storia. La madre viene guidata dal poeta[19] attraverso la morte in Perlustrazione I: "Perlustro la zona (sarà quella?) / solo per constatare che non c'è difesa, / che il suo spazio, quello che la fisica dice / sia presente quando nasciamo, / è sguarnito di ogni compassione / e il tempo è il vero buco che ci divora." (p. 43). Il tentativo è quindi quello di riconquistare questo spazio della memoria al fine di contrastare l'azione disgregante del tempo. L'equazione sviluppata da Anedda mette in relazione la Storia personale con quella che tende sempre più a delinearsi come una Geografia dei ricordi. Essi vengono attentamente disposti nella narrazione lirica al fine di salvare e di restituire qualcosa che non è più: per questo si accumulano componimenti che ricostruiscano eventi appartenenti alla sfera del privato – come accade, per esempio, nel componimento "Quando mia madre nuotò per l'ultima volta" (p. 46) –, oppure ricreano la dinamica epifanica fra chi rimane (ovvero il Soggetto narrante) e gli oggetti degli scomparsi – come nella serie Davanti agli armadi dei morti (p. 48ss.) in cui la narrazione viene inizialmente focalizzata sul padre della poetessa e non più solamente sul Soggetto lirico.

Questa dimensione extra-soggettiva di Historiae è ciò che permette ad Anedda questo salto rivolto alla dimensione storica collettiva. Lo sviluppo della componente lirica di questa narrazione stimola nel Soggetto una più profonda connessione orizzontale (ma non per questo empatica) con l'alterità storica: la folla composta dagli altri soggetti sconosciuti ed innominabili. Come risultato, nella stessa sezione convivono la già menzionata archeologia del ricordo personale ed una serie di eventi esterni che, ugualmente agli eventi privati, vengono caratterizzati per mezzo della stessa dinamica descrittiva. La narrazione storica si sviluppa intorno a drammi storici collettivi ai quali il Soggetto lirico partecipa per mezzo di questa operazione di osservazione e trascrizione di un'epifania di senso. Esemplare, in questo senso, è la poesia Esilii (p. 39) in cui la tragedia dei migranti morti nel Mediterraneo viene eletta a simbolo della dimensione tragica della Storia, per poi essere trasfigurata all'interno della macchina lirica:

 

Oggi penso ai due dei tanti morti affogati

a pochi metri da queste coste soleggiate

trovati sotto lo scafo, stretti, abbracciati.

Mi chiedo se sulle ossa crescerà il corallo

e cosa ne sarà del sangue dentro il sale.

In questo componimento, la tecnica adottata da Anedda è quella trasfigurazione mitica dell'evento, quasi una metamorfosi ovidiana del sangue in corallo. Il focus narrativo è posto nuovamente sul Soggetto descrivente l'evento in prima persona ("mi chiedo"). La dimensione collettiva, in questo caso, risiede nella chiave di mito eziologico attraverso la quale l'evento è narrato: questa modalità di trascrizione dell'evento stimola nel lettore una connessione quasi archetipica con l'oggetto del racconto.

Un ulteriore avanzamento nel processo di scrittura storica si trova nel componimento successivo intitolato Confini, questa volta focalizzato sulla guerra in Siria (p. 41):

 

L'ennesima notizia della strage arriva questa sera

nell'ora in cui messi gli ultimi panni in lavatrice

si scoperchiano i letti per dormire.

Sullo schermo del televisore unica luce nella stanza buia

Scorrono visi morti e morti vivi, lampi di armi,

corpi nudi e dentro ai calcinacci un cane.

La storia moltiplica i suoi spettri, li affolla

ai confini degli imperi nell'età del ferro che ci irradia.

La "notizia" arriva casualmente all'orecchio del Soggetto ed è sentita involontariamente nel momento in cui sta eseguendo un'azione triviale, "nell'ora in cui messi gli ultimi panni in lavatrice / si scoperchiano i letti per dormire." Il medium della televisione ha la funzione di introdurre l'oggetto di questa rapida narrazione, "i visi morti e morti vivi". Infine, il terzo passaggio in cui si attua il passaggio dalla narratività storica ad una γνώμη lirica, permette al Soggetto di aprirsi ad una modalità di scrittura che non sia più limitatamente individuale. Il passaggio, lento ma evidente, effettuato da Anedda è quello di limitare l'uso del Soggetto lirico singolare, l'Io con il quale ci si nasconde, ed aprire la propria narrazione dell'evento storico ad un più inclusivo "noi" (come appare evidente nella chiusa "nell'età del ferro che ci irradia"). La finalità è quella di stimolare una connessione orizzontale ed empatica con la dimensione dell'altro, una dimensione che è esterna a quella del Soggetto e per questo depersonalizzata. E' in questa connessione che Agamben riconosce la portata etica della poesia (Agamben 2011, 167s.). Questo elemento viene esplicitato a livello ulteriore e con maggiore esattezza in un componimento dal titolo Occidente (p. 64s.), contenuto nella sezione omonima:

 

Ecco le case contadine del Duemila,

sono in piena città e sotto il mio balcone […]

 

Divago, così, vado dall'altra parte della casa,

quella più quieta dove si vedono i villini,

le facciate dipinte, i giardini con le palme nane.

Tutto perfetto "se non fosse" – dice un inquilino –

"per i cassoni d'immondizia", bocche di buio

che inghiottono gli avanzi: non solo cibo, ma mobili,

vestiti, oggetti che forse si possono aggiustare.

 

Per questo a ore strane vengono i nostri alieni:

a volte sono donne, spesso vecchie.

Spingono un passeggino privo di bambino,

ma anche un carrello per la spesa,

e in effetti la fanno, "a nostre spese"

aggiunge l'inquilino.

 

In realtà cercano ferro in questa età dell'oro.[20]

Stavolta vedo da vicino. Ci guardiamo.

È davvero impossibile lavare la vergogna reciproca?

 

Non so rispondere e neppure voi.

Ci muoviamo in una zona di tempo

schiuma delle ere. […]

La narrazione è ora focalizzata su chi raccoglie qualche avanzo dai cassonetti dei rifiuti, anche per mezzo della voce di un soggetto esterno a quello lirico – quella "dell'inquilino" – che contribuisce alla scrittura di questo evento. Cionondimeno, il principale elemento di novità del componimento si situa nella strofa in cui viene descritto lo scambio di sguardi fra il poeta ed il cercatore di rifiuti: la domanda sembra infatti giungere per mezzo di una pronuncia esterna alla narrazione dell'evento, contribuendo così a quella spersonalizzazione ricercata da Anedda all'interno della prima sezione. L'interrogativo è poi esteso a sé stessa e al pubblico dei lettori.

4. Storia / Geografia

La Storia narrata da Anedda è una storia da caratterizzarsi per mezzo di un'ottica di breve durata. Tutti gli eventi narrati dalla poetessa, sia quelli inerenti ad una dimensione mitico-antropologica di una storia dell'umanità, sia quelli che tradiscono una maggiore prossimità con la sfera del privato, finiscono per essere appiattiti sul piano orizzontale del libro di poesia: tutto sembra, nel libro di Anedda, avvenire seguendo una causalità universale e necessaria in grado di collocare sullo stesso piano la portata dell'evento collettivo e quello privato. Tutto assurge conseguentemente al medesimo valore di exemplum, realizzando una tendenza più propria del genre lirico. A causa di questo appiattimento sviluppato soprattutto dal nucleo centrale di Historiae, il tema della restituzione storica degli eventi tende ad essere affiancato alla realizzazione di una topografia complessa in cui il poeta colloca gli eventi narrati. Su questo piano gli eventi tendono infatti ad essere collocati su una cartografia mentale che promuove l'ultima e più significativa dicotomia che sorregge l'impianto dell'intero volume, ovvero quella fra Storia e Geografia.

Storia e Geografia agiscono proprio in quanto piani profondamente compenetrati in Historiae: da un lato, la verticalità dello scavo storico in grado di restituire la dimensione privata; dall'altro, l'orizzontalità del legame con un'alterità sopra-individuale stimolato da una disposizione geografica degli oggetti della narrazione che vengono messi in relazione tra di loro: il dramma globale dei "migranti", quello sociale dei cercatori di rifiuti ed il ricordo doloroso degli scomparsi sono tutti collocati sullo stesso piano. Anedda, per mezzo di questa operazione, delinea una cartografia complessa sulla quale la narrazione complessiva degli eventi sembra scorrere in modo indifferenziato e senza alcun tipo di orientamento gerarchico. Si tratta sostanzialmente di un'ulteriore operazione di rinnovamento dei rapporti fra scrittura lirica e storica che costituisca il vero nucleo teorico dell'intera raccolta Historiae, contribuendo a sancirne la sua forte componente innovativa.

Nel componimento '15-18 (p. 45) si trova una delle più riuscite realizzazioni di questa nuova struttura teorica:

 

A volte mi illudo di afferrare i nessi tra le cose

mio nonno in trincea a diciassette anni

che scrive versi d'amore ignaro

che l'inferno doveva ancora venire.

Lui vivo e tutto il resto perduto

a cominciare dalla bambina

sepolta in Istria con sua madre.

Di notte stabilisco i nessi tra le cose

rivedo un vecchio esitare sulle scale

scambiare il vuoto per un lago

e le ringhiere di ferro con le felci.

Lo vedo mentre cade facendo di se stesso

un nodo di vestiti e vetri per provare

finalmente a rovesciare il mare.

Questo nuovo modo di narrare eventi storici (in questo particolare caso la Grande Guerra) e di riconnetterli poi alla dimensione più privata e lirica (l'esperienza della guerra da parte del nonno e la connessione di questo evento traumatico collettivo con il trauma più recente della malattia degenerativa) permette di "afferrare i nessi tra le cose", un rapporto causale fra gli eventi che il Soggetto ricostruisce per mezzo della propria narrazione poetica. Privato e storico non sono più distinguibili all'interno della mappa tracciata da Anedda in questo componimento: la proiezione dei propri oggetti su un nuovo piano narrativo non permette più di distinguere i confini della narrazione lirica e di quella, più impersonale, della storiografia. Il risultato finale a cui Anedda approda, è quello di "ricostruire i nessi tra le cose" secondo un processo che non è da limitare alla ricostruzione di un principio di causalità storica, ma che apre ad una spazializzazione della propria storia personale e ad una sua definitiva collocazione in una dimensione collettiva e, in un certo senso, antropologica.

 

How to cite | Come citare: Binetti, Roberto (2019): "'Una zona di tempo / schiuma delle ere.' Lirica e storiografia in Historiae di Antonella Anedda." In lettere aperte vol. 6, 75-86. [permalink: https://www.lettereaperte.net/artikel/numero-62019/432]

 

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[1] Ci si riferisce a Poeti italiani del Novecento, l’antologia pubblicata da Mengaldo nel 1978 per Mondadori.

[2] Mengaldo prevede la critica che sarà mossa al canone proposto nella propria antologia evidenziando la mancanza di queste caratteristiche nella scrittura poetica femminile, tendente pericolosamente all’informale (cf. Mengaldo 1978, 58s.).

[3] La formula di écriture feminine viene coniata da Hélene Cixous all’interno del suo saggio Le rire de la Méduse e poi utilizzata da teorici del pensiero femminista come Derrida, Kristeva ed Irigaray. Il centro del discorso intorno alla scrittura femminile è l’esistenza di una differenza ontologica fra maschile e femminile in grado di produrre, a livello estetico, uno stile fortemente caratterizzato. L’uscita dal discorso "fallogocentrico" permette, secondo questi teorici della differenza, la creazione di uno stile altro e caratterizzabile per mezzo di una serie di qualità definibili per sottrazione rispetto alla "scrittura maschile" (cf. Cixous 2010; Kristeva 1974; Derrida 1967; Irigaray 1974).

[4] Robert Gordon si interroga, nel suo manuale di letteratura italiana contemporanea, sull’esistenza di un rapporto causale fra genere e stile: "An important open question remains as to whether the distinct concerns, styles and modes of narrative in display in this array of work – centred variously on the private, the fantastic, the hidden, on desire and the body and only obliquely connected to history, society and public world – could ever amount on a feminine of female voice in literature determined by gender." (Gordon 2005, 129).

[5] La definizione di "poesia confessionale" viene utilizzata per la prima volta in riferimento all’opera del poeta Americano Robert Lowell al fine di descrivere una modalità narrativa nella quale la componente autobiografica e diaristica fosse preponderante (cf. Spencer 2017, 102). La stessa definizione è stata estesa alla poesia di diverse autrici italiane che spesso però prendono le distanze da tale etichetta come accade, per esempio, nel caso di Amelia Rosselli: durante questa intervista, Rosselli rifiuta non solo qualsiasi accostamento della poetica di Plath al movimento noto come confessionalism, ma cerca di allontanare anche la propria poesia da questa côte, così compiendo un movimento di forte rivendicazione di originalità poetica, slegata da qualsiasi equazione che metta in relazione la poesia scritta da donne ed una tendenza ad una scrittura intimista (cf. Caporali 2007, 69).

[6] Nella sua antologia poetica, Manacorda colleziona una serie di definizioni in riferimento alla poesia di Antonella Anedda nelle quali il critico sembra esprimere un malcelato stupore nei confronti di certe scelte del poeta come quella di voler conciliare lirismo e narrazione storica: in generale la poesia di Anedda viene definita come "caso paradossale" in cui "le immagini sembrano accostate senza nessuna logica", per poi riconoscere "una forte componente narrativa deviata verso un malinteso lirismo" e stupirsi quando "Anedda parla addirittura della Guerra" (cf. Manacorda 2004, 14-17).

[7] Afribo muove simili critiche allo stile di Anedda attaccando, in questo caso, soprattutto la terza raccolta La vita dei dettagli, accusata di "facile narratività" (Afribo 2007, 87).

[8] La rilevazione viene fatta da due curatori di alcune delle antologie di poesia contemporanea più importanti del decennio: Biancamaria Frabotta ed Antonio Porta. B. Frabotta, Donne in poesia (Roma: Savelli, 1977); Antonio Porta, Poesia degli anni Settanta (Milano: Feltrinelli, 1978). L’antologia di Frabotta è la prima a proporre un canone di poeti italiani interamente al femminile, interrogandosi in merito alla possibile storicizzazione dei suoi esponenti all’interno del canone esistente; l’antologia di Porta, anch’essa dedicata ad un’analisi dell’estremo contemporaneo, possiede il merito di ampliare il numero di poeti donne sfiorando una percentuale di inclusioni del 17%, non più superata se non da un’antologia come Parola Plurale nel 2005 (in cui le inclusioni sfiorano un terzo del totale di 64 poeti) (cf. Alfano et al. 2005).

[9] Per il caso della Guidacci, Karagoz (2013, 76-92) compie un’analisi che mette in relazione le poesie religiose della Guidacci con una loro lettura storica ed etica.

[10] La definizione è tratta dall’introduzione di Frabotta (1977, 18).

[11] Il tentativo era stato già intrapreso nella raccolta Notti di pace occidentale nella quale una delle sezioni era interamente dedicata alla trattazione di eventi bellici quali la Guerra del Golfo o il conflitto in Kosovo. In questo caso, Anedda non tenta ancora un passaggio diretto fra rappresentazione del dramma storico e riconnessione di quest’ultimo a drammi più intimi e personali come avverrà più compiutamente in Historiae (Anedda 1999). Il rapporto fra scrittura lirica e narrazione storica si sistematizza all’interno della struttura dell’ultimo libro in modo tale che non sia possibile distinguere nemmeno un luogo testuale in cui queste tematiche non siano profondamente intrecciate: in questo senso, emerge un nuovo sistema capace non solo di interrogare la portata e la pregnanza di un genere letterario, quanto piuttosto sistematizzare la propria analisi del reale all’interno del genere lirico.

[12] Adottando una prospettiva ed un lessico lacaniano e considerando la scrittura della Storia come atto linguistico, potremmo identificare l’origine di questa distanza fra oggetto e rappresentazione nella Spaltung esistente fra significante e significato, ov-vero nella loro relazione completamente arbitraria (cf. Lacan 2002, 220-316).

[13] Ricalcando la definizione fornita da Kate Hamburger in Die Logik der Dichtung, Jonathan Culler oppone a quest’ultima la definizione della natura fictional del Soggetto lirico (cf. Culler 2015, 105-109). Guido Mazzoni, nel suo saggio sulla poesia moderna riprende il riferimento alla Hamburger, al fine di definire la lirica moderna come "il genere egocentrico" per eccellenza (Mazzoni 2005, 203s.)

[14] La poesia, più di altre forme d’arte, ha sempre dato generosamente per scontato sé stessa, il suo codice ed il messaggio da esso veicolato, considerandoli come una naturale conseguenza del fatto di esistere, della sua stessa consistenza ontologica. Si sa, da qui muove la tentazione di una lettura biografica del testo che ha dato origine ad una polemica antica, quella a cui viene fatto riferimento e che prende le mosse dalle rivendicazioni di Marcel Proust contro il critico letterario Sainte-Beuve che sosteneva di leggere nella Recherche una sorta di diario inconfessato e inconfessabile dello stesso autore. Proust, opponendosi a questo tipo di lettura, non solo sconfessa la possibilità dell’esistenza di un’identità fra personaggio e autore, ma riafferma con forza la non interpretabilità del testo letterario attraverso la biografia. I due insiemi sono confinanti, fondamentali l’uno per l’esistenza dell’altro, ma non inseriti l’uno nell’altro, non possedendo quel tipo di rapporto consequenziale (cf. Proust 1974, XI- LVII).

[15] Anedda guarda, in questo senso, con ammirazione all’esempio di narrazione storica tacitiana degli Annales, esempio folgorante di asciuttezza stilistica e di depersonalizzazione del soggetto: "Rileggendo Tacito durante questa estate di massacri / il conforto veniva dal latino, la nudità dei fatti, / l’assenza o quasi di aggettivi, / il gerundio che evita inutili giri di parole. / […] Il grigio libro di Tacito / scritto quando il suo autore aveva sessant’anni / dice soltanto ciò che deve. Sul grigio orizzonte / degli Annales non c’è posto per i paesaggi o per l’amore: / ci cura questa forma lapidaria: / "La radicata cupidigia dei mortali, / i premi ai delatori non meno abominevoli dei crimini / il metallo che decreta l’oro"." (Anedda 2018, 34).

[16] A partire dagli anni Sessanta si assiste ad una repentina modificazione del complesso sistema del genre lirico: autori come Luzi, Sereni, Caproni, Giudici e Rosselli incominciando ad introdurre sistematicamente enunciatori diversi dall’Io lirico. Questo nuovo "dialogismo" produce inevitabilmente una complicazione dei modi attraverso i quali la narrazione lirica (e biografica) viene coniugata ad una nuova esigenza di rappresentazione storica, di cui il Soggetto singolare non è più il centro (cf. Frasca 2014, 11-18; 23-26). Anedda dimostra, in questo senso, di tornare ad impugnare questa "postura lirica" votata all’ibridazione di diversi generi letterari.

[17] Nel suo saggio Finzione e dizione, Genette (1994, 75) ha sottolineato come in qualunque testo letterario la prevalenza della componente fictional o di quella non-fictional non escluderebbe l’altra: "le forme pure di fiction e non-fiction non esistono se non nella provetta dello studio di poetica".

[18] Le pagine indicate dopo le citazioni si riferiscono all’edizione pubblicata nel 2018: A. Anedda, Historiae (Torino: Einaudi, 2018).

[19] Il termine "poeta" viene in questo contesto preferito a quella di "poetessa" partendo dalle considerazioni di Xavière Gauthier (1980, 161) indicanti l’asemanticità del secondo termine nelle lingue romanze. Simili critiche riguardo all’adozione del termine "poetessa" sono state mosse da altri importanti voci della letteratura italiana fra le quali spiccano i nomi di Elsa Morante, che amava definire "poeta" sè stessa ed anche Patrizia Cavalli, di Amelia Rosselli, così come di Biancamaria Frabotta (cf. Alhadeff 2018, p. 135; Rosselli 1976, 121; Frabotta 2009, 5).

[20] Il "ferro" e, più in generale, i metalli tornano come elemento metaforico ossessivo in tutta la raccolta, frequentemente citati in opposizione all’elemento materico e "biologico" di cui il Soggetto è costituito: le varie "cellule", "atomi", ed addirittura "fotoni" che appaiono in Historiae. Questa serie di "metafore ossessive" è da collocare all’interno di una dinamica descrittiva già presente nelle raccolte precedenti di Anedda, focalizzata sugli oggetti ed interpretati come significanti pieni, portatori di significato con i quali il Soggetto lirico è in grado di instaurare un dialogo denso e profondo. Interessante, nell’ultima raccolta, è questo nuovo spostamento verso la consistenza materica degli oggetti che tendono sempre più ad essere scomposti nelle loro componenti fondamentali (cf. Anedda 1992; 1999; 2003; 2009).

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