Tra umorismo e satira: donne americane e donne italoamericane nella narrativa di John Fante

Anche Maria, del resto, non ha un barlume di ironia, di coscienza, di lucidità, o almeno un moto di rabbia se non di ribellione: è una donna ottusa. Maria ammira (non invidia, non desidera – la sua rassegnazione a sè non lo permette) la femminilità delle donne americane, che lei non può avere: le donne italiane sono madri e mogli, non donne. Maria ha un unico “varco verso l’appagamento: il rosario” (Fante 1998: 56). Dopo aver descritto la distanza psicologica che Maria avverte nei confronti delle donne americane, il narratore descrive i rosari di Maria come un’esperienza oppiacea, sembra quasi che Maria si frastorni a si annulli attraverso la preghiera ossessiva:

Ave Maria, Ave Maria, senza mai smettere, migliaia, milioni di volte, preghiera dopo preghiera, il sonno del corpo, la fuga della mente,la morte della memoria, l’annientamento del dolore, la fantasticheria, profonda e silenziosa, della fede. Ave Maria e Ave Maria. Ecco la sua ragion d’essere. (ivi., 56)

Aspetta primavera, Bandini può essere letto come il racconto della nascita e della presa di coscienza di una nuova identità etnica: l’italoamericano. I due protagonisti maschili, il muratore Svevo e suo figlio Arturo, sperimentano la lacerazione di vivere tra due mondi opposti (Italia e America)[4] e la disperazione di non appartenere più a nessuno: in montagne russe di desiderio e rabbia, si sentono alternativamente accettati e rifiutati dal mondo americano del quale aspirano a far parte, e alternativamente rifiutano il vecchio mondo italiano per poi cercarvi nostalgico rifugio. Ma – paradossalmente per gli stessi motivi, per il fatto d’esser metaforicamente sempre in mezzo all’oceano – padre e figlio italoamericani, nelle loro delusioni quotidiane, sono confortati da un grande sogno, il sogno di conquistare l’America, l’American Dream. Ovvero, proprio grazie al fatto che l’America chiude loro le porte in faccia nel momento in cui sembra spalancarle, la dimensione del sogno non si corrompe mai, e i due Bandini vivono in perenne tensione verso un futuro luminoso, verso la speranza che domani arrivi finalmente primavera. Tuttavia sono Svevo e Arturo Bandini che aspettano primavera come da titolo – ma la donna Bandini? L’italoamericana Maria?

No, a lei non è concesso nemmeno il sogno che un giorno arrivi primavera, l’America le è preclusa a priori. Maria ha tutte le ferite dell’essere italoamericana senza averne il sogno. Ovvero: per Maria il sogno è chiaramente un’utopia, non può nemmeno pensare di realizzarlo, un giorno. Non sarà mai una donna americana.

È potenzialmente una figura più tragica dei personaggi maschili, ma nei romanzi di Fante risulta solo malinconica. Fante la rappresenta in quello che è il suo ruolo, la sua posizione, i suoi doveri: cucinare e pulire la casa, e in questo modo far sì che gli uomini di casa possano coltivare il proprio sogno americano. Non le attribuisce mai desideri che vadano oltre il marito e i figli, e uno spazio che vada oltre quello della cucina.

Corrisponde a uno stereotipo ben radicato, anche per noi lettori del 2000, ma non lontano dalla realtà: stiamo parlando di una donna-povera-casalinga-italoamericana degli anni Trenta. Fante fa una descrizione realistica, inutile negarlo. Fa una descrizione che procura al lettore una sensazione di tristezza per questa donna. Infatti che questa figura femminile corrisponda pienamente a uno stereotipo non significa che sia una figura che suoni falsa, al contrario, nè che Fante la descriva senz’arte o superficialmente nè che il lettore non avverta pietà nei suoi confronti. Ma, appunto, date le sue caratteristiche fisse è difficile provare qualcosa di diverso dalla pietà; ed è facile per lo scrittore indulgere satiricamente nella descrizione della madre italoamericana.[5]

Già nei brani sopramenzionati, si può cogliere come l’ironia trascenda in satira che mette alla berlina questa madre che prima ammira ciecamente “donne che trovano romantico il lievito” e poi si rifugia, onanisticamente, in un’overdose di preghiera. Non è satira violenta ma amara. Diventerà sberleffo, invece, in Full of life, romanzo del ’52: viene oggi considerato artisticamente il suo peggior libro (e Fante concordava)[6], ma i critici d’allora lo incensarono e fu il suo unico successo commerciale in vita. Si tratta di una commedia convenzionale e sdolcinata scritta per rassicurare pubblico e recensori,[7] l’umorismo viene bandito e la satira trionfa: la madre è “the fainting type”, “di quelle che svengono”, iperprotettiva e servile come moglie e come madre, casa chiesa & cucina, estremamente limitata intellettualmente: l’autore si diverte a metterle in bocca chiacchiere vuote e incoerenti. È naturalmente superstiziosa quanto il marito, tanto che il narratore impiega una pagina intera a descrivere minuziosamente tutte le pratiche rituali degli italoamericani: sale nel letto e aglio nel buco della serratura per concepir bambini, uno scialle a frange per evitare le streghe, urina di vacca per far crescere i capelli ai calvi, una sciarpa rossa per guarire il morbillo, una nera per il mal di gola e via dicendo.

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foto: Mulberry Street (ca. 1900), Library of Congress (cc), https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/8e/NYC_Mulberry_Street_3g04637u.jpg/1200px-NYC_Mulberry_Street_3g04637u.jpg