Croce, Papini, Prezzolini e Borgese ‘editori’ di Goethe, Nietzsche, Novalis e Hebbel

I nuovi entranti e la genesi di un polo di produzione ristretta nel campo editoriale

 

Ora, la novità strutturale di questo periodo consiste nell’ingresso in campo di alcuni pretendenti privi di capitale simbolico (e in genere anche economico) che, in cerca di legittimazione, danno vita a nuove strutture – soprattutto riviste e collane – alleandosi strategicamente tra loro in opposizione ai dominanti (Ill. 10).

 III.10.

Ill. 10.

 

La mia tesi è che l’azione combinata, o meglio il lavoro collettivo di questi nuovi entranti – in primis Croce, Papini, Prezzolini e Borgese – produce un mutamento complessivo della struttura del campo editoriale, e in particolare, attraverso l’istituzione di nuove pratiche, attiva di un polo di produzione ristretta, di produttori per i produttori. Questo, a sua volta, col suo emergere dà origine, per opposizione simbolica, a un polo di produzione di massa presso il quale si trovano a essere dislocati Treves, Sonzogno e gli altri editori già affermati. Ma passiamo in rassegna questi nuovi entranti, che per diversi motivi si trovano alla periferia del campo e sono dotati di disposizioni sovversive. 

Il primo è Benedetto Croce [8], il rentier, che dalla Napoli di tradizione idealista si oppone all’università del positivismo trionfante, che ha i suoi centri maggiori soprattutto al nord, p.es nella Torino di Bocca. Con «La Critica», pubblicata a partire dal 1903, Croce costituisce una sorta di università parallela, fondata sull’idealismo filosofico di Hegel, sul recupero dello storicismo di Vico e De Sanctis, e sulla valorizzazione una tradizione italiana in contrapposizione alla voga positivista straniera. In cerca alleati per il suo programma incontra e sostiene, di volta in volta, altri nuovi entranti come Giovanni Gentile, Giuseppe Antonio Borgese, Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, salvo poi rompere clamorosamente quando gli alleati mostrano segni di insubordinazione. Sul piano editoriale la Biblioteca di Cultura Moderna (Ill. 11), fondata nel 1902 da Giovanni Laterza e di cui intorno al 1905 Croce diventa il principale consulente, si oppone in chiave antiscientista alla Biblioteca di Scienza Moderna di Bocca, selezionando opere in accordo con il programma di ricostituire l’unità della cultura, che l’università stava disgregando in discipline autonome, e di riproporre la filosofia quale disciplina egemone. 

Per la sua collana (Ill. 12) riesce a strappare a Bocca il principale testo di estetica di Nietzsche, La nascita della tragedia, che pubblica nel 1907 e, trattandosi evidentemente di un testo chiave per la propria autolegittimazione, ripropone in nuova traduzione nel 1919, presentandolo attraverso il suo discepolo Enrico Ruta come un’anticipazione ancora confusa e disorganica delle teorie che egli stesso avrebbe chiarito e sistematizzato nella sua Estetica del 1902. Se vi accoglie anche gli studi di Arturo Farinelli e quello della di lui allieva Barbara Allason non è per un interesse nei confronti del romanticismo, di cui è anzi uno dei critici più intransigenti, ma per fare fronte comune con il germanista. Anche Farinelli, che fino al 1904 insegna romanistica a Innsbuck, è marginale rispetto al sistema accademico italiano, ma si guadagna una certa fama tanto per i suoi studi sul romanticismo quanto per i suoi modi poco convenzionali, ispirati allo stesso spirito romantico. Da quando nel 1907 torna in Italia, chiamato a Torino a occupare la cattedra di letteratura tedesca appena creata (la seconda dopo quella milanese del positivista Sigismondo Friedmann), il suo riconoscimento trasversale e le sue disposizioni anti-accademiche, ne fanno un alleato prezioso a cui guarderanno con interesse, dopo Croce, anche i vociani e Borgese.

 III.11.

Ill. 11.

 III.12.

Ill. 12.

 

Coerentemente con la sua revisione in chiave conservatrice del repertorio letterario Croce ignora gli scrittori tedeschi contemporanei (solo negli anni ’30 s’interesserà vivamente a Thomas Mann) e concentra i suoi sforzi di legittimazione e autolegittimazione su Goethe, di cui in una fondamentale monografia del 1919 (Goethe. Con una scelta di liriche nuovamente tradotte, dedicata a Farinelli) farà il modello dello scrittore olimpico, al di sopra delle contese del giorno, che proprio per questo incarna al meglio la dialettica dei distinti e l’estetica dell’intuizione lirica. 

Goethe è l’autore più rappresentato già negli Scrittori Stranieri, inaugurati nel 1912 presso Laterza e affidati a Guido Manacorda, che insieme a Farinelli era tra i fondatori della germanistica italiana (Ill. 13). Nella collana, che per divergenze con Manacorda si estingue allo scoppio della guerra, escono in prima traduzione italiana i Colloqui con Eckermann e Le esperienze di Wilhelm Meister, nella versione dei vociani Alberto Spaini e Rosina Pisaneschi [9]. Risulta in programma anche la traduzione dei Wanderjahre, a cura di Spaini, che però non vedrà la luce (Ill. 14).

 III.13.

Ill. 13.

 III.14.

Ill. 14.

 

Ma almeno altrettanto importante della sua idea di letteratura e del repertorio letterario che propone, è il ruolo di Croce nel dar vita a un circuito di produzione, nel senso letterale dell’espressione: in pochi anni diventa il capitano di un’industria editoriale che produce un numero sempre crescente di libri e riviste, rispondendo alla domanda di un nuovo pubblico di giovani intellettuali, e al contempo creando lavoro per questi stessi intellettuali. Alla «Critica» e alla Biblioteca di Cultura Moderna seguono i Classici della Filosofia Moderna diretti insieme a Giovanni Gentile (1907-1925, 22 titoli), gli Scrittori d’Italia affidati al discepolo Fausto Nicolini (1910-1987, 179 titoli), i già ricordati Scrittori Stranieri (1912-1915, 9 titoli), le Opere di Alfredo Oriani (1913-1921, 21 titoli), i Filosofi Antichi e Medievali diretti da Gentile (1915-39, 20 titoli), e così via. 

Croce si fa carico di un insieme di funzioni che in una grande casa editrice di oggi sarebbero suddivise tra numerose figure professionali distinte: direttore di collana (per la selezione dei libri da pubblicare), redattore (per la scelta dei collaboratori e l’organizzazione del lavoro), editor (per l’elaborazione dei testi, di concerto con autori e traduttori, e per la loro revisione), ufficio stampa (per la pubblicità e le recensioni) e traduttore (in prima persona); ma non disdegna nemmeno gli aspetti più tecnici, come la scelta dei caratteri tipografici, della carta, la correzione delle bozze e la vendita dei volumi. Tutto questo, in un intreccio strettissimo con il lavoro svolto per «La Critica», che anticipa e recensisce i volumi pubblicati nelle collane. Proprio lavorando per Croce tra il 1905 e il 1907 – nella fattispecie traducendo rispettivamente Kant e Hume per i Classici della Filosofia Moderna – Papini e Prezzolini apprendono le pratiche che saranno loro indispensabili al momento di inaugurare le loro collane.  

Il primo a farlo è Papini, dalla cui collaborazione con il tipografo Rocco Carabba di Lanciano nasce nel 1909 la collana Cultura dell’Anima. Le disposizioni sovversive del provinciale e autodidatta Papini, privo di capitali e di titoli scolastici, hanno un’origine lontanissima da quelle di Croce. Ma in Croce egli trova un provvisorio alleato già ai tempi del «Leonardo», nel 1903, in nome dei comuni bersagli polemici. Aspirando al riconoscimento come scrittore, Papini ha l’esigenza di distinguersi soprattutto dal dominante D’Annunzio, ed è portato a successive sperimentazioni per affermare una nuova idea di letteratura che 1) rifiuti il successo commerciale di quella dannunziana e naturalistica, 2) rompa, di conseguenza, con i generi legittimi – il romanzo, il teatro, la lirica – e col loro pubblico, 3) imponga un nuovo ‘criterio di visione e divisione’ della letteratura che superi l’opposizione tra letteratura e altri saperi, in particolar modo la filosofia, sulla quale insieme a Prezzolini ha compiuto il suo apprendistato di uomo ‘moderno’. Anche lui, come Croce, si fa il suo Nietzsche (sul «Leonardo»), contrapponendo al profeta del superuomo estetizzato da D’Annunzio l’apostolo morale che testimonia nella propria carne e nella propria psiche l’unità inscindibile di letteratura e vita (è la lettura di Daniel Halévy). 

Mi preme sottolineare che alcune prese di posizione dei vociani, generalmente condivise e sostenute da Croce, sono così importanti nel marcare la distinzione rispetto alla letteratura dominante da diventare costitutive del circuito di produzione ristretta: come regole fondamentali, il mancato rispetto delle quali farebbe collassare il circuito stesso, pregiudicandone l’autonomia. Dal rifiuto dei generi tradizionali dipendono per esempio: un pregiudizio antiromanzesco, che ostacolerà la produzione e la traduzione di narrativa fino agli anni ’30 [10]; una ricerca di autenticità, che tenderà a privilegiare forme autobiografiche come la lettera, il diario e il frammento; e una preminenza del saggio critico come solo genere autoriflessivo, legittimo e legittimante, che condizionerà la produzione letteraria italiana, attraverso l’egemonia della prosa d’arte, fino secondo dopoguerra. 

Queste sono le istanze portate da Papini in Cultura dell’Anima (Ill. 15), dove Schopenhauer, Fichte, Schelling e Kant convivono con scrittori riscoperti o introdotti per la prima volta in Italia, come Novalis e Hebbel, all’insegna del rifiuto dei generi tradizionali, di una programmatica frammentarietà e di una ricerca etica di una visione del mondo adeguata all’uomo moderno, o, nei termini di Papini, di una ‘religione’ della modernità (Ill. 16.). I modi di appropriazione e sincronizzazione della letteratura straniera alla problematica vociana sono i più diversi: si va dalla vera e propria invenzione dei Frammenti (il titolo non è scelto a caso) di Novalis, selezionati, assemblati e manipolati da Prezzolini [11], alle Lettere scelte e frammenti epistolari di Nietzsche, che Valerio Benuzzi, un adepto di Papini, presenta, negli anni di «Lacerba» e dell’alleanza con Marinetti, come un precursore del futurismo.

 III.15.

Ill. 15.

 III.16.

Ill. 16.

 

Il successo della collana di Papini spinge anche Prezzolini a inaugurare una propria impresa editoriale, i Quaderni della «Voce» (Ill. 17) [12], che esordiscono nel 1910 e che rappresentano la prima collana del circuito di produzione ristretta dedicata alla sperimentazione letteraria contemporanea. Fra saggi, reportage, memorie, discorsi, biografie e autobiografie liriche, le traduzioni sono pochissime, ma a maggior ragione sono sintomatiche del tentativo di sincronizzazone fra la produzione dei vociani e l’appropriazione di una letteratura straniera ad analoghe istanze. 

Il caso senz’altro più significativo è quello di Scipio Slataper, che traduce il Diario di Hebbel per Cultura dell’Anima, la Giuditta dello stesso autore per i Quaderni: tra il 1910 e il ’12 il tormentato Hebbel scoperto da Slataper è, dopo Goethe e Nietzsche, l’autore tedesco ‘moderno’ su cui tutti i principali attori del campo di produzione ristretta si sentono chiamati a prendere posizione: in articoli, lezioni, lettere e recensioni ne trattano Croce, Farinelli, Borgese, Cecchi, Cardarelli e Boine. Nei Quaderni, inoltre, che egli stesso dà un contributo rilevante a fondare, Slataper pubblica Il mio Carso, scritto contemporaneamente alla traduzione hebbeliana, e apparso subito dopo Un uomo finito di Papini, insieme al quale costituisce il più rilevante esempio di prosa anti-romanzesca, lirica e autobiografica che si propone come manifesto di un’intera generazione e della sua visione della modernità (Ill. 18 e 19).

Come la collana di Croce, ma su un piano più strettamente letterario, Cultura dell’Anima e i Quaderni della Voce costituiscono il canale d’accesso a nuove pratiche editoriali e traduttive per molti giovani, che in questo caso provengono per lo più della cerchia delle riviste fiorentine. Quasi tutti i vociani lavorano per le collane di Papini e Prezzolini: Soffici, Jahier, Boine, Cecchi, Slataper e molti giovanissimi che vengono avviati alla traduzione dal tedesco come Alberto Spaini, Aldo Oberdorfer, Enrico Burich o Giani Stuparich.

 III.17.

Ill. 17.

 

 III.18.

Ill. 18.

 

 III.19.

Ill. 19.

 

Nel 1912 anche Giuseppe Antonio Borgese inaugura, anch’egli presso Rocco Carabba, una sua collana, che già nel nome, Antichi e Moderni (Ill. 20), richiama l’intento conciliatorio («Il Conciliatore» ribattezzerà un paio d’anni dopo, in omaggio all’illustre precedente romantico, la rivista «La Cultura» già diretta da Bonghi e De Lollis) tra la linea classicista proposta da Croce, e quella romantica e sperimentale esplorata dai vociani. Borgese, che, inizialmente privo di capitale culturale e simbolico, si è alleato sia con Croce sia con Papini e Prezzolini, è arrivato rapidamente al successo percorrendo la carriera giornalistica, fortemente avversata tanto dall’uno quanto dagli altri, e non solo scrive sulla «Stampa» di Torino, ma pubblica proprio presso Bocca le sue corrispondenze da Berlino La nuova Germania (1909) e i tre volumi di saggi critici La vita e il libro (1910-13). Il primo è dedicato ad Arturo Farinelli, che lo sosterrà nel concorso per la cattedra di letteratura tedesca creata nel 1911 all’Università di Roma. 

In Antichi e Moderni Borgese ospita dunque gli autori romantici cari ai vociani e a Farinelli, primi fra tutti Novalis e Hebbel, tradotti dagli allievi di Farinelli (Alfero, Errante) o da giovani vociani (Pisaneschi, Martegiani, Campa); concede qualcosa alla filosofia, pubblicando un Fichte molto papiniano; ma tiene ben distinti i generi tradizionali – romanzo, teatro, lirica – senza peraltro ancora mettere a fuoco quella linea romanzesca che negli anni ’20 lo porterà dai saggi di Tempo di edificare alla sua più importante impresa editoriale, i 50 volumi della Biblioteca romantica Mondadori (1930-1938), un vero e proprio canone del romanzo europeo. Pur ignorando anch’egli pressoché del tutto gli scrittori tedeschi contemporanei, Borgese è comunque il primo, della nostra pattuglia, a far tradurre uno scrittore tedesco vivente, il poeta Richard Dehmel (Ill. 21).

 III.20.

Ill. 20.

 III.21.

Ill. 21.

 

Più brevemente, ora, vorrei soffermarmi su altre due imprese che, affiancandosi a quelle già menzionate, contribuiscono alla rivoluzione simbolica nel campo editoriale. 

La prima si deve a Gino Carabba, figlio di Rocco, che nel 1912 fonda una sua casa editrice, e in particolare la collana Scrittori Italiani e Stranieri, la cui direzione affida al comparatista Domenico Ciampoli e allo slavista Federigo Verdinois, entrambi accademici e appartenenti alla vecchia generazione (Ill. 22). Pur non avendo la coerenza progettuale e la tensione innovatrice di quelle di Croce, Papini, Prezzolini e Borgese – si veda la polemica mossale dai vociani a proposito del repêchage di una supposta traduzione berchetiana del Wilhelm Meister di Goethe [13] – la collana pubblica oltre 400 titoli in trent’anni e costituisce un contenitore a disposizione, dove vengono pubblicate molte opere in prima traduzione italiana, dalle poesie di Tagore, alle numerose versioni dal russo di Verdinois alla prima traduzione dell’opera di Georg Büchner curata ancora una volta da Alberto Spaini e Rosina Pisaneschi e apparsa in tre volumi nel 1928-31 (Ill. 23).

 III.22.

Ill. 22.

 

 III.23.

Ill. 23.

 

La seconda è Letterature moderne, la collana di saggistica inaugurata da Farinelli presso Bocca nel 1916, che riprende in parte la formula della Biblioteca di Cultura Moderna di Croce, ma con un taglio più accademico e pubblica quasi esclusivamente le tesi di laurea dei migliori allievi del germanista (Ill. 24 e 25). Più della collana in sé, tra i cui primi titoli figura lo Ibsen di Scipio Slataper, è importante, anche questa volta, il circuito di produzione. I numerosi allievi di Farinelli – tra cui Giovan Angelo Alfero, Giuseppe Gabetti, Leonello Vincenti, Giovanni Vittorio Amoretti – costituiscono manodopera intellettuale qualificata in grado di alimentare le collane dei nuovi entranti, in particolare quelle di Croce e di Borgese, con le loro traduzioni di Novalis, Wackenroder, Chamisso e altri romantici. Inoltre, negli anni ’20 andranno a occupare gran parte delle nuove cattedre di letteratura tedesca, determinando un perdurante interesse per il romanticismo. Lo stesso Farinelli infine, come già Manacorda e Borgese, si dedicherà a una più vasta impresa letteraria, fondando presso la UTET la principale collana di classici degli anni ’30, I Grandi Scrittori Stranieri (1930-1985), che alla sua morte verrà continuata dal suo allievo Amoretti.

 

 III.24.

Ill. 24.

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Ill. 25.

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