Croce, Papini, Prezzolini e Borgese ‘editori’ di Goethe, Nietzsche, Novalis e Hebbel

La trasformazione del repertorio

Se ora osserviamo il repertorio dei tedeschi che i nuovi entranti consacrano all’interno del campo di produzione ristretta da loro stessi costituito possiamo constatare come al suo centro si staglino quattro nomi: Goethe, Nietzsche, Novalis e Hebbel. Su questi autori quasi tutti i nuovi entranti intervengono, studiandoli, traducendoli, recensendoli, accogliendoli o rifiutandoli. In altre parole, gli autori di cui la prima avanguardia novecentesca in Italia si appropria, quelli che considera come ‘contemporanei’ e seleziona come termini di riferimento per elaborare le proprie poetiche, non sono Kraus o Rilke, Mann o Kafka, ma Goethe, Nietzsche, Novalis e Hebbel. Si potrebbe perfino dire il Goethe di Croce, il Nietzsche di Papini, il Novalis di Prezzolini e lo Hebbel di Slataper, se non fosse che ciascuno di questi autori è di fatto conteso tra diversi attori dell’avanguardia, che tentano di appropriarsene dandone letture di volta in volta convergenti o divergenti rispetto a quelle dei sodali e/o rivali (Ill. 26).

 III.26.

Ill. 26. I nomi tra parentesi (tonde) sono quelli dei traduttori e/o curatori. I titoli tra parentesi quadre sono quelli dei libri in programma ma non realizzati.

 

Sintetizzando, a produrre una rivoluzione simbolica nel campo delle traduzioni a partire all’incirca dal 1909 è il lavoro collettivo di questi nuovi entranti, in particolare attraverso l’alleanza tra critici e scrittori in cerca di consacrazione e case editrici periferiche disposte a rischiare l’innovazione per accumulare capitale simbolico, come Laterza e Carabba. Si generano così alcuni sistemi produttivi fatti di riviste e collane (e a volte di cattedre universitarie) – il sistema Croce, il sistema Papini, il sistema Prezzolini, il sistema Borgese, ecc. – che nel loro insieme danno vita a un circuito di produzione relativamente ‘autonomo’ nel senso dato alla parola da Bourdieu: un insieme di produttori che si fanno da se stessi le proprie regole, quelle dell’arte, rifiutando come ‘eteronome’ quelle del mercato, della politica, della religione, ecc. La comparsa di questo circuito, per ora ancora instabile, determina una ristrutturazione complessiva dello spazio simbolico, facendo emergere per contrasto un polo di produzione di massa, verso il quale vengono sospinte le case editrici fino ad allora dominanti, come Treves e Sonzogno (Ill. 27). Questa editoria è fatta oggetto di critica esplicita in scritti come La coltura italiana di Papini e Prezzolini (1906), Le lettere di Renato Serra (1914) e, dopo la guerra, nei virulenti attacchi di Piero Gobetti, prosecutore della militanza editoriale vociana, a casa Treves (1921).

 III.27.

Ill. 27.

 

In questo circuito, che accoglie e forma un numero consistente di giovani redattori, curatori e traduttori, si producono habitus editoriali innovativi [14], volti all’esplorazione delle letterature straniere per selezionarvi autori e opere che corroborino una poetica o un progetto culturale (l’idealismo estetico di Croce, l’autobiografismo lirico di Papini e Slataper, il radicalismo mistico di Prezzolini, il romanticismo trascendentale di Farinelli, ecc.). Per i rifiuti incrociati da cui si sono originate – del mercato, dei generi letterari – queste poetiche escludono quasi del tutto il romanzo, dissuadendo i nuovi entranti dallo scriverne e i mediatori dal tradurne (salvo non leggerli come romanzi [15]). Questo ‘pregiudizio antiromanzesco’ spiega perché fino alla fine degli anni ’20 la narrativa (tedesca e non solo) venga importata quasi esclusivamente attraverso il campo di produzione di massa e le sue logiche, trascurando quindi quasi del tutto le opere che oggi invece consideriamo canoniche. 

Quella che viene portata in Italia a partire dal 1910 non è ancora, tuttavia, la ‘letteratura tedesca contemporanea’, della quale non c’è ancora una percezione, ma una ‘letteratura tedesca moderna’, rispondente agli interessi specifici degli attori che abbiamo passato in rassegna. Che sono, lo abbiamo visto, poco più di una mezza dozzina. Senza di loro, il repertorio della letteratura tedesca (e delle altre letterature) prodotto in Italia negli anni ’10 (o più precisamente: prodotto e consacrato nel campo di produzione ristretta in contrapposizione a quello dominante nel campo di produzione di massa) sarebbe stato diverso (Ill. 28).

 III.28.

Ill. 28.

 

Spero di aver mostrato che per avere un quadro più autentico dello stato della letteratura italiana del primo Novecento può essere utile integrare, nelle storie letterarie e nelle antologie, anche la produzione di letteratura tradotta [16]. Fra i testi di area tedesca, i Frammenti di Novalis ‘rifatti’ da Prezzolini (1905-13), la Giuditta e il Diario di Hebbel ‘rifatti’ da Slataper (1910-12), Le esperienze di Wilhelm Meister ‘rifatte’ da Pisaneschi e Spaini (1913-15), o anche la Nascita della tragedia di Nietzsche ‘rifatta’, due volte, da Croce (1907-19), rappresenterebbero, credo, più efficacemente di molte opere ‘autoctone’ le principali problematiche e trasformazioni della letteratura di quegli anni.

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