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Creatività, figlia del Caos. Un bisogno vitale

“Discover new worlds or drown.” Who was Gabriello Chiabrera talking to? To scientists or artists? Given that art and science contribute to the same process of knowing, both share similar processes of evolution and creation. Gallese and Ceruti believe that living beings develop through continuous real and virtual creations. Are such virtual realities authentic? After all, what is creation? Is everybody able to create? Is there a responsibility implied in the creation process? This article reflects on creativity interpreted as the creation of novelty, in relation to theatrical processes as well as to Chaos and Complexity Theories. In the light of the most recent neuroscience research (mirror neurons) it also explores the creative processes in inter subjective communication and the responsibility of artists with regard to our society. Specifically, the article is structured in six sections: a. creation as a common process in nature and art; b. creation as a ‘knowing’ process; c. creation as innovation; d. creation in theatre as a search for the truth; e. creation processes based on mirror neurons; f. creative processes between social responsibility and human rights.

Molte cose sono nel secreto tesoro dell'orden della natura,

 che a chi non le sa, sieno per parer veramente impossibilissime.

Girolamo Ruscelli. Trattato del modo di comporre (1539)

Quando si parla di creazione si è tentati di associarla al mondo dell'arte, dell'immaginazione e dell'innovazione tecnica, e relegarla in posizioni esclusive nei confronti delle altre attività umane. Molte sono le ricerche e i contributi sulla creatività nel XX sec. nei campi della psicologia, pedagogia e filosofia.[1] Ma alla luce delle ricerche scientifiche degli ultimi sessant'anni e della nuova epistemologia non si può non collegare l'atto creativo all'essere vivente e alla sua natura biologica. Oggi, riflettere sui processi creativi attraverso i metodi offerti dalle nuove scienze[2] vuol dire innanzitutto inscrivere tali processi in una concezione olistica del pensiero e di conseguenza considerare l'artista come sistema, in una rete di sistemi. Il sistema è infatti la chiave per entrare nella complessità meravigliosa sia del mondo in cui viviamo che dell'arte e della creazione.

Questo lavoro è parte di una ricerca più ampia in cui si tracciano delle analogie tra arte e scienza, nello specifico tra i processi di sviluppo in natura e i processi creativi in arte. Lo scopo della ricerca è dimostrare le intime connessioni tra il discorso umanistico e quello scientifico e come le ricerche in entrambi gli ambiti possano contribuire insieme a creare un approccio multidisciplinare volto ad approfondire la comprensione dei processi creativi e conoscitivi. In questo articolo, si rifletterà sulla creatività intesa come creazione di novità, in relazione ai fenomeni teatrali. Inoltre, alla luce delle recenti scoperte neuroscientifiche (per esempio i neuroni specchio), ci si interrogherà sui processi creativi nelle relazioni intersoggettive e sulla responsabilità degli artisti e della società. In particolare, si vuole dimostrare che:

 

  • a. la creazione avviene seguendo uno stesso processo sia in natura che in arte e in entrambi i campi equivale a una negoziazione di significati;
  • b. creare equivale a conoscere ed è una capacità di tutti gli esseri viventi;
  • c. creazione è invenzione;
  • d. creazione teatrale come ricerca della verità;
  • e. creazione e neuroni specchio: la prima forma di creazione nelle relazioni intersoggettive; si basa sulla simulazione incarnata grazie ai neuroni specchio (premotori);
  • f. è responsabilità degli artisti creare modelli culturali positivi che possano coinvolgere e
    indirizzare i processi creativi dei singoli individui; è responsabilità della società
    garantire il processo creativo come diritto umano.

a. Creazione è negoziazione di significati

Già nei primi decenni del XX secolo filosofi e scienziati come Henri Poincarè e Alexander Bogdanov si interrogano sul valore della scienza e sulla sua relatività; successivamente, con il principio di complementarietà di Bohr e quello di indeterminazione di Heisenberg crolla il determinismo meccanicistico e, alla fine degli anni quaranta, nasce un "pensiero della complessità."[3] A partire dagli anni 50, i chimici Ilya Prigogine e Isabelle Stengers studiano i sistemi biologici dinamici, in particolare il Caos e la Complessità, e nel 1979 ribattono a Il Caso e la Necessità di Jacques Monod (1970), con La Nuova Alleanza, rivendicando i legami tra cultura umanistica e quella scientifica. Da allora, la complessità come chiave di un nuovo pensiero è sostenuta e formalizzata da filosofi come Edgar Morin, Douglas Hofstadter, Mauro Ceruti, e altri.

Per Prigogine e i nuovi filosofi della scienza, il mondo è inteso come un'entità complessa, un sistema di sistemi, di natura gerarchica dalla cellula al pensiero e alle emozioni. Proprio sul sistema si basa la concezione della materia, della vita e di tutti i processi percettivi e cognitivi. La conoscenza stessa si riduce a un fenomeno di relazioni che, sotto le spoglie di sistema, viene a costituire il perno principale attorno a cui ruota ogni attività umana. Il sistema, dunque, diventa il nucleo di tutta una concezione filosofico-scientifica.

Dal greco synestai (porre insieme), per sistema in tale concezione s'intende non una giustapposizione passiva di un certo numero di elementi, ma un'entità attiva in continuo movimento. La peculiarità del sistema è che il movimento non deriva da alcuna forza esterna, ma dalle continue interazioni tra gli elementi che questi stessi sono in grado di generare. Sicché si tratta di una forza interna al sistema dovuta non agli elementi, ma allo scambio di energia tra gli elementi (in accordo con quanto afferma la teoria quantica).[4]

In un lavoro precedente sono stati comparati i processi creativi in natura suggeriti da Prigogine e dai suoi colleghi, ai processi creativi in teatro, inteso come campo di ricerca della comunicazione (cf. Cafaro 2009). La comparazione è avvenuta attraverso i concetti offerti dalla Teoria del Caos e della Complessità con lo scopo di avvicinarsi alla comprensione dei meccanismi creativi che avvengono in teatro. Dalle analogie tracciate tra i due campi, consegue che l'atto creativo in natura e quello in teatro avvengono seguendo una stessa modalità e condividono le stesse caratteristiche. Qui di seguito ne leggiamo alcune che interessano il nostro discorso:

 

  1. l'attore e lo spettatore si possono considerare sistemi dinamici complessi, e in quanto tali, processi creativi costanti; conseguentemente, ogni performance e ogni fruizione si rinnovano costantemente e non possono mai ripetersi in modo uguale.
  2. L'interazione tra attore e spettatore avviene sotto forma di uno scambio di energia. La qualità, e non la quantità, delle interazioni definisce la creazione di significati. Maggiore sarà la diversità degli input, migliore sarà la qualità delle interazioni.
  3. Il terzo sistema creato dallo scambio di energia tra l'attore e lo spettatore rappresenta l'opera d'arte, che non è oggettiva e quindi uguale per tutti gli spettatori, ma soggettiva in quanto dipende dalla relazione che ciascun ricettore instaura con il creatore-artista.
  4. Ogni sistema genera interazioni adattive con l'ambiente: il sistema, cioè, incorpora continuamente elementi nuovi e diversi con cui confrontarsi. Anche se gli elementi sono gli stessi, le interazioni saranno sempre diverse, per cui non esiste un sistema che si ripeta uguale a se stesso. Ciò esclude l'isolamento dell'artista, dell'opera d'arte e del ricettore. La creazione, in quanto sviluppo di un sistema, include costantemente l'ambiente in cui il sistema opera.

 

Questi quattro punti dimostrano che un testo, seppur fisso, diventa arte nel momento in cui la natura umana dell'attore gli dà vita e lo esprime. L'inserimento continuo e costante del 'nuovo' nel sistema attore-spettatore contribuisce alla costruzione di senso dell'opera. Ma da dove viene il 'nuovo'? Grazie all'improvvisazione, l'attore stabilisce relazioni non lineari tra il testo e gli spettatori attraverso sottotesti paralleli che egli crea ex-novo (Cafaro 2009). Tali relazioni accadono in virtù di una 'complessizzazione' del testo che arricchisce il suo significato letterale. Lo scambio di energia tra attore e spettatore mantiene un livello di tensione costante tra ordine e caos, in grado di generare complessità e quindi di creare significati. Complessizzare il gesto dell'attore vuol dire arricchirlo di energia, di tensione e conflittualità, moltiplicando le linee di pensiero a esso sottese (Sanchis Sinisterra). Complessizzare l'attuazione[5] equivale dunque a 'creare' il testo in scena.

Erich Köhler afferma che "la costruzione di un sistema è strumento di appropriazione, e non di riproduzione, della realtà" (Köhler 1982, 17). Köhler si basa sulla teoria del sociologo tedesco Niklas Luhmann secondo cui "l'utilità del sistema consiste nella sua capacità di ridurre, costituendo un significato, la complessità del reale" (ibid.). Infatti, il sistema, mentre da un lato organizza la realtà attorno a dei punti che costituiscono i nodi della sua rete, dall'altro, esso arricchisce le relazioni di ogni elemento della rete con tutti gli altri. In questo senso, creare una struttura equivale a ridurre la complessità generale e ad aumentare la complessità specifica.

Applicando le tesi di Luhmann al teatro, siamo in grado di dedurre che in quello teatrale, in quanto sistema socioculturale, avviene lo stesso fenomeno: attraverso la complessità del testo rappresentato - allo stesso tempo e paradossalmente - lo spettatore è messo nelle condizioni di costruire un significato quindi di ridurre la complessità del reale; mentre l'attore costruisce delle complessità specifiche, lo spettatore riduce la complessità generale. La complessità è strumento di esplorazione di possibili mondi che non esistono, ma che potrebbero esistere; dunque, creare equivale a investigare la potenzialità.

Ecco un esempio di complessizzazione. In scena, l'attore può esprimere una battuta in molti modi, ed è proprio il modo in cui la esprime ad arricchire il significato letterale con possibili interpretazioni, con vari significati. Immaginiamo che l'attore A reciti all'attore B: "Adesso vado via" ma non si allontana, anzi continua a guardare l'altro attore. Questo comportamento sorprende lo spettatore il quale comincia a interrogarsi sul perché A non vada via. A questo punto, cerca le sue risposte in altri elementi, per esempio negli sguardi, nelle intenzioni e nelle reazioni di B. Comincia a fare le sue ipotesi per dare coerenza a quel gesto. Una possibile risposta potrebbe essere che A abbia paura di B, un'altra che A voglia sfidare B, etc. Lo spettatore sta esplorando mondi possibili, l'indicibile di quella frase. Può succedere che le sue ipotesi non coincidano con le intenzioni dell'attore A ma ciò non ha importanza, a patto che quel significato soggettivo non stravolga il senso generale dell'opera. Allora negoziare un significato vuol dire per lo spettatore dare un senso, una coerenza logica alla frase in base non solo al testo, ma anche agli elementi che riesce a 'rubare' all'attore: ai sottotesti nascosti nel tono di voce, nei gesti, nell'espressione, nella luce, etc. Questo esempio illustra come la creazione - o conoscenza di un mondo possibile - avvenga nel "territorio dell'ignoto", dell'incertezza che causa disorientamento. Nel momento della crisi il sistema non resta passivo e immobile, ma si adatta creando una soluzione.

Se osserviamo un sistema in natura, attraverso gli strumenti offerti dalla Teoria del Caos, noteremo che il suo movimento è dato dall'alternarsi di caos e ordine. Dall'ordine si passa al caos attraverso un processo di accumulazione di input; questo provoca uno scoppio. In seguito allo scoppio il sistema si auto organizza e sceglie un'unica soluzione al suo problema. Lo scoppio riconduce all'ordine, e così via. Tradotto in arte, questo processo vuol dire che dalle infinite possibilità di significazione si passa a un unico senso cui affidare l'interpretazione. Il caos rappresenta l'accumulo di possibili soluzioni offerte al sistema e l'ordine rappresenta la scelta del sistema di una soluzione che garantisca la continuità e lo sviluppo del sistema stesso. Quella soluzione è innovazione.

Lo scienziato Ilya Prigogine spiega che il fenomeno della creatività ha due dimensioni: l'attività degli individui innovatori e la risposta dell'ambiente. L'innovazione è una fluttuazione accettata dall'ambiente (Prigogine 1992). Cosa vuol dire? Se per esempio scagliamo una pietra nel letto di un fiume, si possono avere due possibilità: 1. se la pietra è troppo piccola, non crea nessuna perturbazione, né creazione, perché il sistema non si allontana dall'equilibrio; 2. se la pietra è troppo grande, si causa una catastrofe, uno tsunami che destabilizza il sistema-fiume. Affinché si crei un'onda diversa e nuova, che arricchisca quelle costanti del fiume, senza destabilizzarne il corso, la nuova onda non deve superare una soglia critica di fluttuazione. Il fiume accetterà la nuova onda (negoziazione) e si stabilizzerà in base ad essa creando un nuovo sistema. In questo senso possiamo dire che il sistema ha un'identità in continua trasformazione o, con le parole di Zygmunt Bauman, un'identità liquida.

È come se si accendesse un fuoco sotto una pentola con acqua e le gocce d'acqua cominciassero a muoversi sempre più euforicamente, fino a saltare all'impazzata. Allo stesso modo, possiamo immaginare che durante l'improvvisazione dell'attuazione, gli elementi si combinino sempre più velocemente in base ad associazioni, ricordi, assonanze, prestiti, ripetizioni, similitudini, e quant'altro, per dar luogo a gesti, sguardi, allusioni, etc.

Così come succede in natura, se il sistema-attore scegliesse, tra le mille possibili, una soluzione completamente diversa dal sistema, estranea a esso, questa supererebbe la soglia critica e una battuta o un gesto sarebbero fuori luogo. Il sistema-attore, invece, dovrà scegliere una soluzione che non sia né uguale, né troppo diversa, ma simile e compatibile; una variante della precedente, una novità in cui la precedente sia riconoscibile, e al tempo stesso che conduca al senso globale dell'opera; dovrà negoziarla continuamente con il pubblico e con gli elementi del suo sistema. Si pensi ad esempio alla forma musicale 'Tema con variazioni': Il tema è riproposto più volte e ogni volta sarà nuovo e originale, ma con l'idea tematica sempre presente. Ebbene, anche l'attore, come ogni artista, deve creare il suo tema con variazioni.

Dunque, in presenza di molteplici possibilità, il sistema sceglie la soluzione più adatta, secondo delle logiche interne al sistema definite in biologia Mente. Il sistema sembra oscillare, allora, tra condizioni vincolanti e libertà, tra necessità e caso. Esso è per un senso 'deterministico' poiché la soluzione scelta dal sistema è determinata dalle condizioni del sistema stesso; per un altro è aleatorio poiché le combinazioni degli elementi sono infinite e arbitrarie.[6]

Caos Deterministico sembra una combinazione ossimorica, ma, in effetti, non lo è. Si potrebbe erroneamente pensare che caos sia sinonimo di caso (curiosamente suo anagramma), o che si riferisca a un totale disordine; al contrario, i sistemi caotici sono sistemi dinamici, molto ben organizzati e sempre prevedibili anche se a breve termine. Il caos non è casualità, né totale mancanza di ordine, ma, secondo la Teoria del Caos, esso è un ordine così complesso che sfugge alla percezione e alla comprensione umana. In un sistema caotico l'ordine e il disordine si scontrano continuamente riuscendo a mantenere la stabilità. Infatti, la dimensione prediletta dalla teoria della complessità è l'orlo del caos, poiché la vita e la creazione attecchiscono solo nella discontinuità di questo territorio sfumato e ambiguo. È un momento di crisi che richiede una soluzione di emergenza. Calvino, nelle sue Lezioni americane, afferma: "tra queste due strade [ordine e caos] io oscillo continuamente e quando sento d'aver esplorato al massimo le possibilità dell'una mi butto sull'altra e viceversa" (Calvino 2000, 72).

Quello dell'attore che improvvisa il suo testo è un sistema caotico in cui ritroviamo il territorio sfumato e ambiguo che abbiamo visto in fisica. La sfida dell'attore sarà mantenere la sua attuazione (la sua creazione) in un territorio sfumato e ambiguo perché questo permetterà il processo creativo dello spettatore.[7] Se il Caos non ci fosse e l'attore sapesse esattamente cosa fare e cosa dire con delle modalità fissate, si tratterebbe di un sistema statico, in perfetto equilibrio senza nessuna creazione di novità o di 'vita' che nel nostro caso equivale ad arte. Non ci sarebbe produzione di significato al di fuori dell'unico significato letterale che sarebbe trasferito meccanicamente dall'attore allo spettatore. Soltanto la presenza dinamica del caos, produce complessità di significati, poiché favorisce la produzione di relazioni all'interno di un livello e tra più livelli.

Possiamo concludere che la creatività è una facoltà che appartiene a tutti gli esseri viventi e consiste in una creazione continua di senso, di innovazioni al proprio sistema. Creazione e innovazione coincidono giacché il sistema sceglie la soluzione più consona, cioè più utile e funzionale alla continuità e allo sviluppo di se stesso (autopoiesi). La creazione di novità fa parte della nostra vita quotidiana, dal più banale problem-solving di come vestirsi la mattina al più sofisticato momento di creare un personaggio letterario o un tema musicale, etc. Essa, in quanto processo basato sulle relazioni di elementi, è del tutto soggettiva, per cui ciò che è nuovo e significativo per una persona può non esserlo per altre persone.

È curioso notare come il termine creazione definisca il processo di sviluppo di tre sistemi: quello dell'artista, quello dello spettatore e quello dell'interazione tra artista e spettatore.

b. Creare è Conoscere

La creazione non è solo costruzione di significati, ma anche comprensione della realtà, in quanto nel costruire un significato si riduce la complessità della realtà e si comprendono alcuni aspetti dei suoi fenomeni. Si è detto che l'arte non si quantifica materialmente, ma è una continua negoziazione di significati tra gli individui creatori e i ricettori che si trasformano in altrettanti creatori. I filosofi della scienza Briggs e Peat affermano che l'arte, come la scienza, non è che un insieme di relazioni tra un fruitore e un oggetto[8] che esiste soltanto hic et nunc, cioè nel momento, nel modo e nel contesto in cui ha luogo la relazione. L'arte, dunque, è equiparata alla scienza ed entrambe discutono la possibilità di raggiungere la conoscenza assoluta. Essendo impossibile conoscere tutto, ciò che si può perseguire è allora una conoscenza approssimata dell'oggetto di studio e dei processi stessi. Ne consegue che la conoscenza non è più acquisizione di dati oggettivi, ma piuttosto la comprensione dei processi e delle relazioni che governano i fenomeni cognitivi. Secondo Mauro Ceruti

il rapporto tra coscienza e conoscenza è segnato da inesauribili limitazioni ma che sono fonte di emergenza del nuovo. A ogni presa di coscienza corrisponde sia una nuova conoscenza sia la produzione di nuovo inconscio cognitivo. Di conseguenza, a ogni aumento di conoscenza corrisponde un aumento di ignoranza. (Ceruti 1985, 34)

I limiti però non sono barriere, ma rimandano ai meccanismi costruttivi delle conoscenze. Essi diventano un luogo critico attraverso cui accade l'emergenza, la creazione di novità. In un certo senso, il limite della conoscenza è un miraggio, un orizzonte che non si raggiunge mai. Ceruti specifica che "da un'epistemologia della rappresentazione si passa a un'epistemologia della costruzione" (ibid.).

Il punto di vista di Prigogine e dei suoi colleghi conduce inevitabilmente anche alla riconsiderazione del concetto di osservazione e di esperimento, nonché a quello di verità. Se le leggi non dicono nulla di preciso e di affidabile riguardo a un fenomeno che accade nello spazio e nel tempo, se sono ormai soltanto la descrizione di una possibilità che le cose accadano, allora la scienza si riduce ad essere solo uno dei possibili discorsi sul mondo, o un discorso provvisorio.[9] Da questo discorso si deduce che la scienza non è più depositaria dell'unica verità del mondo. Convolti dalle riflessioni di Ceruti, diremo facilmente che si passa da un'immagine della scienza come epistème,[10] cioè sicurezza e certezza, a una immagine della scienza come doxa, cioè sapere ipotetico, opinione (ibid., 25s.). Si stabilisce una sorta di passaggio di staffette della verità: la scienza lascia il posto alla complessità, depositaria di tante verità per quanti osservatori si vogliano approssimare ai fenomeni naturali. Conoscere è allora un sistema complesso che include osservatore e osservato, poiché entrambi appartengono inscindibilmente allo stesso mondo. Perciò, la realtà si crea nel momento in cui è osservata da una persona. In questo senso, il processo di creazione equivale a quello della conoscenza, visto che entrambe arte e scienza offrono solo uno dei possibili discorsi sul mondo.

Ognuno, dunque, crea la propria verità basata su una conoscenza soggettiva. In riferimento all'arte del pittore Giacometti, Stefano Jossa, afferma che

astrattismo e realismo, metafisica e individuo, non sono in contraddizione: invece di copiare l'oggetto come appare, Giacometti comincia a copiare quello che vede. La forma nasce nella percezione dell'osservatore anziché nella realtà delle cose: non è artificio dell'artista, però, ma esperienza visiva. Concentrarsi sul particolare rischia di far perdere l'insieme, ma rendere l'insieme è un gesto di rinuncia conoscitiva. L'esempio più efficace di questo dramma compositivo è la testa piatta e incisa del padre, un bronzo del 1927, dove il volto è appiattito e i particolari sono incisi, appunto, per passare da ciò che è conosciuto a ciò che è visto – dal riconoscimento alla visione.[11]

Per Giacometti l'opera d'arte equivale alla sua personale visione dell'oggetto: dunque, la sua verità coincide con la sua conoscenza dell'oggetto.

c. Creazione è Invenzione

La creazione riguarda un vero e proprio processo di ricerca che riguarda una fase relativa al momento dell'inventio, quindi al reperimento dei materiali che poi - seguendo il discorso della retorica classica - si ordinano e si esprimono (dispositio ed elocutio).[12]

Nel nostro caso inventio non è combinazione di elementi già preesistenti, ma creazione di nuove realtà. L'attore, infatti, nel momento dell'attuazione, non si limita a combinare i vari elementi del suo repertorio, quali i gesti, le posizioni, i ritmi. Questi è in grado di creare ex-novo il suo materiale, seguendo una modalità non cosciente ma delegata al suo sistema, alle sue emergenze. Di modo che egli, durante lo spettacolo, non solo crea il suo repertorio originale, ma afferma la sua identità artistica, il suo idioletto espressivo, il suo stile (basti pensare a Dario Fo, a Roberto Benigni), più sarà la possibilità fisico-tecnica di lasciarsi andare, di improvvisare, di ricercare in se stesso, e maggiore sarà la percentuale di originalità della sua identità artistica. Il suo sistema aggiornerà continuamente le conoscenze testuali e tecniche intessendo relazioni continue tra quegli elementi fissi e il suo presente biologico, il suo essere vivo e cangiante (Cafaro 2009).

A proposito dell'invenzione, già Bacone (Francis Bacon), nel primo Seicento, differenzia la scoperta di ciò che non si sa dalla rievocazione dei saperi antichi. Come ricorda Rena Siska-Lamparska, secondo Bacone

[Di invenzioni] ve ne sono due specie: l'invenzione delle arti e quella degli argomenti [...] La prima può essere chiamata propriamente invenzione, dato che significa scoprire cose ignote, la seconda invece non è che la memoria delle cose già note e solo rievocate. (Siska-Lamparska 2005, 158s.)

Considerando la 'prima specie', Bacone intuisce che la creazione ex-novo non si riferisce ai materiali, ma alle relazioni che sorgono tra di loro. Scoprire cose ignote da cose già note non è altro che immergersi nel sistema complesso dei singoli elementi e lasciarsi affascinare dalla 'meraviglia' delle novità. Lo scienziato-cacciatore baconiano 'inventa' solo nel momento in cui si avventura "in uno spazio vasto e non noto" anziché cacciare nella "riserva degli exempla" e, restando nella metafora della caccia, egli 'conquista' la sua preda, "ossia crea(re) le invenzioni" con l'ausilio di "abilità e apertura mentale" (ibid., 169). Ne deriva che la verità del filosofo-scienziato diventa la conquista del nuovo da parte di un uomo intelligente, creativo, fantasioso, oltre che buon osservatore scientifico. Nel caso specifico dell'attore si direbbe che egli debba essere anche molto ben preparato tecnicamente. L'invenzione "ossia scoprire cose ignote" (ibid.) è per Bacone, come per Caloprese, "la ricreazione" o "trasformazione artistica della realtà materiale con infinite possibilità di scoperte" (ibid.), un'elaborazione originale di elementi reali non ancora considerati. A proposito del rapporto tra l'invenzione e la ricezione dello spettatore, continua Siska-Lamparska:

attraverso il realismo delle 'novità' scoperte nella realtà osservata e trasformate nella 'vaghezza' e nel 'bello' delle immagini 'finte', si raggiunge il destinatario, stimolandone l'interesse e la meraviglia. La funzione cognitiva della meraviglia si unisce a quella estetica. [...] 'Alterare i fatti' della realtà empirica in forma poetica si esprime nel bello, elemento imprescindibile dell'invenzione e della meraviglia. (ibid., 169s.)

Alterare i fatti della realtà empirica, come sappiamo dalla scienza oggi, non è ricombinare gli elementi esistenti, ma operare sulle relazioni che tra di loro si possono stabilire. Pertanto diremo che il concetto baconiano d'invenzione come elaborazione e trasformazione della realtà, spiegato attraverso i concetti della Teoria del Caos, è la base filosofica della creatività.

Grazie a questa trasformazione l'artista eleva l'esperienza artistica a una dimensione superiore rispetto a quella di 'semplice intrattenimento' rendendola un'esperienza di vita e non solo di finzione: l'essere artista conduce alla consapevolezza dell'essere individuo e dell'essere parte di una collettività con le responsabilità che questo comporta. L'arte, così intesa, si pone al servizio della ricerca e dell'esplorazione di se stessi, e racchiude il significato della vita stessa di chi la fa.

d. Creazione teatrale come ricerca di verità

A proposito di conoscenza ed esplorazione di se stessi, il teatro è sempre stato un campo di ricerca affascinante. In particolare nel Ventesimo secolo il teatro si fà ricerca e si muove intorno ai concetti di autenticità e credibilità.

Moltissimi sono i registi e gli attori che sperimentano l'arte non come imitazione, o mimesi, quindi rappresentazione della realtà già nota, ma come rappresentazione di una realtà sconosciuta che deve essere prima creata per essere rappresentata o creata in scena nel momento stesso della rappresentazione (poiesi). In questo quadro si inserisce la ricerca sull'attore come essere umano e l'interesse agli aspetti biologici dell'attore–uomo. Nel corso del secolo diviene sempre più ovvia l'importanza del corpo in cui incarnare il testo. Dunque, l'opera d'arte è la combinazione di un testo come elemento fisso e del corpo come sistema vivo e in continua trasformazione. Questa relazione garantisce l'unicità della rappresentazione.

Tra i grandi registi che riconoscono nell'attore l'elemento a cui rivolgersi per cercare la verità dell'espressione vi sono Stanislavskij, Mejerchol'd, Copeau, Artaud, e Grotowski. E' sorprendente come questi abbiano intuito dinamiche e processi creativi che oggi, a distanza di decenni, vengono spiegate da scienziati e filosofi.

Konstantin Stanislavskij per esempio, già nel 1929 intuisce la necessità di arricchire il gesto con un sottotesto che serva non solo a creare un'intenzione all'attore, ma a poter connettere il gesto a tutto il corpo:

L'attore sarà coinvolto, toccato; la combinazione dei sentimenti necessari per la sua parte emergerà dalle profondità della sua memoria emotiva, e questa ha la qualità dell'efficacia e si riversa nell'azione drammatica. Così l'attore scopre che i frammenti singoli del suo ruolo prendono vita, sono arricchiti dall'interazione spontanea di complesse emozioni organiche. (Stanislavskij [1929], 1359)

Dunque il gesto è totalmente intriso di memoria emotiva, delle esperienze passate che non solo fanno parte della sua biografia, ma costituiscono un bagaglio culturale condiviso dagli esseri umani di un tempo e di uno spazio. Oggi, grazie ai neuroni specchio (si veda paragrafo f) sappiamo che il gesto dell'attore agisce sullo spettatore in modo unico e soggettivo, modificando la sua percezione e le sue interpretazioni, facendo leva su quel bagaglio culturale condiviso.

Inoltre, Stanislavskij introduce il concetto di 'organicità' che, secondo Erik Christoffersen, esprime una "connessione tra l'attore e il personaggio, la mente, l'interiorità e l'esteriorità fisica, tra il sottotesto come interpretazione e intenzione dell'attore [...] E' un processo creativo costante"[13]. Ecco un chiaro esempio di creazione come processo di esplorazione del sè. Ma il regista continua a spingere i limiti della sua ricerca indagando su una relazione olistica dell'attore con se stesso ancor prima che questi cominci la sua attuazione. Il regista afferma che "prima dell'attuazione, ogni attore deve sapere come entrare in quell'atmosfera spirituale in cui, unicamente lì, 'il sacramento dell'arte creativa' è possibile."[14]

Queste parole danno adito a molte riflessioni, ma in questa sede mi limiterò a evidenziare l'importanza attribuita alla preparazione dell'attore come atteggiamento interiore. Il processo creativo include la globalità dell'essere umano, a livello biologico, artistico e spirituale (aspetto che verrà sviluppato da Grotowski, nel secondo Novecento). Infine vorrei riflettere sul termine 'sacramento' scelto dal regista. Se in termini religiosi è inteso come rito sacro che conduce l'uomo alla salvezza, Stanislavskij sembra indicare la speranza che l'arte creativa possa condurre l'artista alla salvezza. Dunque il processo creativo non si limita alla vita terrena, ma va oltre e permette all'artista di raggiungere altre dimensioni.

Nel tentativo di realizzare in scena forme di teatro vivo, e di creare così un linguaggio teatrale specifico e identificativo, grandi artisti si sono avventurati nella sperimentazione e nell'avanguardia: Antonin Artaud, con una forma di teatro totale, Tadeusz Kantor con la creazione di marionette e un teatro della morte; il Living Theatre tra altri. Per tutti, la creazione coincide con la vita stessa ed è la vita che vogliono rappresentare.

Eugenio Barba dirà che per l'attore il personaggio è "un processo di autopenetrazione, di eccesso senza il quale non vi può essere creazione profonda" (Barba 1961, 110). Ma a proposito di processo creativo e ricerca olistica sull'artista non si può non includere in questo breve excursus Jerzy Grotowski secondo il quale "l'attore deve compiere un atto di confessione… un atto totale, quell'atto che desnuda, spoglia, svela, rivela, scopre…" (Grotowski 1968a, 146). Per il Maestro, il testo funge da input all'attore per scavare in se stesso e raggiungere le sue verità. Ma è il gesto ad essere l'espressione visibile degli impulsi interni, quella che lo spettatore vedrà e grazie al quale capirà il significato.

Una ricerca lunga e sofferta lo porterà infatti a teorizzare le dinamiche di stimoli ed impulsi che generano i gesti. Lo stimolo genera un impulso nel corpo che coinvolge l'intero essere umano, il corpo e lo spirito. L'impulso si manifesta oltre che nei gesti anche sotto forma di luce, in ogni parte del corpo dell'attore, nell'attitudine, nello sguardo, nei ritmi e nel respiro "in una sorta di transluminazione del corpo" (Grotowski 1964, 110). Grotowski si rende conto che l'energia generata dall'impulso è potente e deve essere canalizzata nei gesti affinché agisca in modo chiaro e forte sullo spettatore. Attraverso il gesto si dà spazio all'impulso che è il risultato di una memoria biografica. Anche in questo caso Grotowski anticipa la funzione svolta dai neuroni specchio.

Non dimenticando la Teoria del Caos, si può anche dire che Grotowski perviene alle stesse conclusioni dello scienziato Prigogine. Per entrambi, l'atto creativo è un fenomeno complesso in cui intervengono le esperienze del nostro passato. Il gesto di uno, come risultato di un impulso che coinvolge tutto l'organismo umano, corrisponde alla novità creativa, come risultante del caos del sistema-uomo. L'ordine e il caos si susseguono ma coesistono. Grotowski dirà: "Tra le sponde dei dettagli scorre il fiume della nostra vita" (Grotowski 1968b, 20).

Con Grotowski e il suo gruppo la ricerca sull'attore si è spinta a limiti estremi, elevando il concetto di teatro a strumento di ricerca dell'umanità. L'arte è veicolo per esplorare l'uomo.

e. Creazione e neuroni specchio

Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante

questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quell giorno più non vi leggemmo avante.

Dante: Inferno, Canto V, v.133-138

Si è visto al punto a. come il processo di sviluppo di un essere, che coincide con quello creativo e a sua volta con la vita stessa, parta dalla più piccola cellula e arrivi all'organismo nella sua interezza in relazione con il mondo. Infatti, la vita si sviluppa attraverso sistemi di relazioni, in forma gerarchica. La gerarchia sistemica, come nelle scatole cinesi, non tralascia nessun elemento: relazioni di cellule creano tessuti, relazioni di tessuti creano organi, e poi sistemi più complessi fino a creare il corpo. Il sistema-corpo crea relazioni con il sistema-cervello che a loro volta, a livelli più sofisticati, creano sistemi estetici[15] e reti cognitive fino a creare, in termini neuro-scientifici, quelli che il neurofisiologo Vittorio Gallese definisce sistemi organismi (Gallese 2015, 83). Questi ultimi comprendono il corpo, la mente, l'intuito, e le emozioni, così come la memoria, lo studio, il talento e soprattutto il contesto esterno in cui si sviluppano.

Da quanto detto fin qui, si evince che tale processo è un bisogno dell'essere vivente che si esplica attraverso il movimento. Ma dove conduce questo sviluppo? Il bisogno cessa di essere tale nel momento in cui l'essere vivente raggiunge il suo status di sistema corpo-mente? Sembrerebbe di no.

Qui entrano in campo le recenti ricerche neurobiologiche in dialogo con altre discipline, che studiando le cellule nervose del cervello, indicano come il processo che stiamo analizzando vada avanti e come il sistema corpo-mente prosegua la sua azione creativa ponendosi in relazione con il mondo esterno.[16] Continua cioè il bisogno dell'essere vivente di creare altre realtà di là da se stesso. Sebbene sia impossibile per il sistema creare altre entità materiali sotto forma di corpi, esso è in grado però di creare realtà virtuali sotto forma di energia (immaginazione), attraverso relazioni che instaura con sistemi esterni. È come se il sistema corpo-mente non fosse soddisfatto dell'unica realtà di cui si compone e creasse altri sé, non al di fuori di sé ma al di dentro, inscrivendoli nel suo sistema. D'accordo con Gallese "l'intersoggettività diviene così 'ontologicamente' il fondamento della condizione umana, in cui la reciprocità definisce in modo fondativo l'esistenza" (Gallese 2015, 9). Del resto, che la creazione sia un bisogno biologico dell'essere umano e che si estenda all' intersoggettività non sono concetti nuovi. Già nel 1624, ad esempio, John Donne recitava che nessun uomo è un'isola, ma una parte del tutto (Donne 1624, VIII).

Ciò che interessa noi è che oggi siamo in grado di dimostrare questi principi in termini scientifici e di spiegarli integrando le conoscenze di varie discipline. Oggi possiamo applicare le conoscenze scientifiche all'arte e capire meglio come questa funzioni. Con la scoperta dei neuroni specchio e il meccanismo di simulazione sembra iniziare una nuova era di studi sul cervello e sui rapporti fra le persone.

Per capire cosa siano i neuroni specchio, immaginiamo l'interazione tra una persona A e una persona B, in cui B osserva A. Se A si muove, B potrebbe imitarne l'azione, attivando una categoria di neuroni che induce al movimento. Basti pensare a un bambino che, osservando un cartone animato è indotto a imitarne le azioni e spesso vuole saltare da un tavolo o dalla finestra per cercare di imitare un super eroe. Ma se B si limita a osservare A, succede che si attiva una parte degli stessi neuroni i quali da un lato inibiscono l'azione, bloccandola, mentre dall'altro la simulano dentro il sistema corpo-mente di B (Gallese 2015, 27). Cioè, grazie a una categoria di neuroni specchio, B entrerà in risonanza con A, riconoscerà gli elementi e la natura corporea dell'azione, e sarà capace di ricrearla all'interno del suo sistema a livello potenziale. In un altro esempio, se A sbuccia una mela e B osserva l'azione, B è capace di ricreare in potenza l'azione di sbucciare la mela, come se stesse sbucciandola da sé.

Gallese sostiene inoltre che la simulazione incarnata che accomuna gli animali con gli umani, si arricchisce negli umani di una modalità specifica offerta dal linguaggio. Il neuro-scienziato spiega che il linguaggio ci fornisce una modalità esclusiva di rappresentazione simbolica che definisce simulazione liberata (ibid., 75). "Nella ricezione della finzione artistica la nostra inerenza all'oggetto è libera dai normali coinvolgimenti personali diretti con la realtà quotidiana" (ibid., 76) e questo ci permette di fruire esperienze nuove.[17]

Accanto ai neuroni specchio entra in gioco anche un'altra categoria di neuroni, i premotori, che permettono addirittura di 'indovinare' lo scopo dell'azione e completare l'azione stessa, sempre a livello potenziale. Questa capacità sembra essere una rivoluzione negli studi comportamentali. Ritornando al nostro esempio, se A sbuccia una mela, ma non la mangia e B osserva l'azione, B è capace non solo di assimilare l'azione di sbucciare la mela, ma di andare oltre fino a mangiarla, sempre in potenza. È come se B immagazzinasse le informazioni osservate, anche se l'intenzione di quell'azione (mangiare la mela) non dovesse coincidere con le intenzioni originali di A (che forse aveva l'intenzione di frullare la mela). Gallese spiega che "esperire un'azione o un'emozione e immaginarsela si fondano sull'attivazione di circuiti cerebrali in parte identici" (ibid., 72). L'interazione tra A e B ha fatto sì che B doppiasse il suo essere: B1 ha solo osservato A, mentre B2 ha 'rubato' gli input al modello (A) e ha creato un suo percorso immaginario, sbucciando e mangiando la mela. L'azione non è astratta ma 'incarnata', inscritta nel suo sistema corpo-mente. In questo senso, B ha vissuto un mondo possibile, diverso da quello reale. Grazie a questo meccanismo ci immedesimiamo nei personaggi di un film tanto da piangere davanti a scene commoventi. Con Gallese possiamo ipotizzare che " il meccanismo di simulazione incarnata, insieme alle nostre capacità di astrazione cognitiva, ci conferisca la possibilità di creare e vivere mondi immaginari" (ibid., 73).

Da ciò impariamo che su questo tipo di simulazione si basa l'immaginazione che permette a ogni essere umano di creare in qualsiasi momento, dai sogni ad occhi aperti, alle storie raccontate ai bambini la sera, etc. In virtù dei neuroni premotori, è creazione la continuazione di storie iniziate, così come i pettegolezzi di due vicine o di due uomini al bar quando arricchiscono le poche informazioni certe con soluzioni ai problemi o con giustificazioni che rispondono alle loro logiche personali. In altre parole, per sviluppare un mondo virtuale abbiamo bisogno solamente di un input esterno di cui appropriarci che fungerà da incipit per la nostra storia virtuale.

Il caso di Dante. Proprio i neuroni specchio oggi ci aiutano a comprendere il meccanismo della risonanza empatica che ha permesso a Paolo e Francesca di baciarsi dopo essere stati coinvolti 'neuronicamente' dal bacio descritto nel libro galeotto. Nello specifico, l'artista, e nel nostro caso l'opera d'arte del libro galeotto, descrive l'amore e in particolare un bacio tra due amanti. Nel momento in cui Paolo e Francesca leggono la storia d'amore si riconoscono in essa, riconoscono cioè il significato di quelle parole e di quelle emozioni, ed entrano in risonanza con i personaggi della storia. Il bacio nella storia diventa un'azione-modello (input) che attiva nei personaggi il meccanismo di simulazione: Paolo e Francesca esperiscono il bacio in potenza. Di certo, quel bacio virtuale scritto sulla pagina è carico di responsabilità in quanto trascina i lettori a riconoscersi nell'azione e nelle emozioni, e a inscrivere il tutto nei sistemi dei singoli individui, almeno in potenza. Nella storia però avviene che l'azione letta e immaginata induce i due non solo a sentire il bacio potenzialmente, ma a concretizzare l'azione mettendolo in pratica. Dopo aver letto del bacio i due si baciano. Quasi come se la doppia vicinanza dei loro corpi al testo fungesse da cassa di risonanza e amplificasse l'azione di simulazione fino al completamento concreto dell'azione stessa.[18]

Si tratta di "un meccanismo che incarna a suo modo una rappresentazione astratta dell'azione, che però è tutto fuorché astratta perché incarnata all'interno del nostro sistema motorio" (Gallese 2007, 4). L'individuo è parte del tutto e potenzialmente contiene il tutto. Gallese chiarisce che:

Grazie alla simulazione incarnata ho la capacità di riconoscere in quello che vedo qualcosa con cui 'risuono', di cui mi approprio esperienzialmente, che posso fare mio. Il significato delle esperienze altrui è compreso non in virtù di una spiegazione, ma grazie ad una comprensione diretta, per così dire, dall'interno. (Gallese 2007, 5)

La simulazione, dunque, è una forma di esplorazione che ci consente di conoscere il mondo. Grazie alla simulazione la mente umana è in grado di progettare e creare nuovi scenari e mondi possibili. Ciò che ancora non c'è ma che, date certe condizioni iniziali, può esistere e diventare concreto. La simulazione è dunque un'anticipazione creativa della realtà del futuro.

Sarebbe lecito chiedersi se il meccanismo di simulazione che avviene nella relazione tra individui si possa considerare imitazione passiva o un processo attivo di creazione. Possiamo però desumere che la simulazione incarnata non è un'imitazione passiva, ma un processo di creazione attivo vero e proprio poiché coinvolge sempre il sistema corporeo dell'osservatore, la sua natura biologica, la sua memoria, e la sua gestualità.

Quindi, riconoscere e risuonare sono le parole chiave affinché avvenga la simulazione incarnata. Ma come avviene la risonanza? Per capire meglio ritorniamo per un momento all'esempio di A e B (vedi punto d.): per far sì che B si riconosca nelle azioni di A bisogna che B abbia già incorporate dentro di sé quelle componenti che durante l'osservazione entreranno in risonanza con quelle di A. Se B non ha mai visto le mele nella sua vita, l'azione di A di mangiare la mela non scatenerà nessuna simulazione e B non potrà entrare in risonanza con A. B dovrà possedere nel suo bagaglio di concetti culturali quello della mela come frutto da sbucciare e mangiare. Dovrà cioè condividere con A concetti culturali simili. Ciò conferma che si forma nei bambini una sorta di dizionario di gesti ed emozioni che resteranno inscritti nel 'sistema persona' per tutta la vita. Grazie a questo dizionario culturale e a ciò che tutti i membri di una comunità condividono, è possibile manipolare le creazioni di realtà reali o virtuali.

f. Creazione tra responsabilità sociale e diritti umani

Nelle precedenti sezioni si è visto che creare è conoscere se stessi e indagare il mondo; è partecipare nella società attraverso la propria natura biologica. Creare è vivere; è esprimersi con la libertà del proprio essere. È come se il nostro sistema inglobasse elementi nuovi e poi si chiedesse 'Vediamo come reagisco'. E l'arte?

Dopo aver riflettuto sui processi creativi da vari punti di vista, l'arte si rivela, in termini scientifici, un luogo funzionale al processo creativo, o meglio la dimensione in cui avvengono scambi di energia fra due sistemi. In particolare, è un'area in cui un individuo-creatore entra in relazione con immagini reali o virtuali (input esterni) attraverso la totalità del suo essere. In questo luogo esclusivo, gli artisti costituiscono la fonte di tali immagini reali o virtuali, coloro i quali possono e devono intervenire nei processi creativi dei singoli individui. Per Casadei "la valenza più importante di una grande opera è quella di spostare i confini prestabiliti, di aprire le frontiere tra l'ignoto e il noto" (Casadei 2011, 65). Gli artisti vivono e agiscono sull'orlo del caos, al margine della certezza, in quel territorio sfumato e ambiguo di cui si parlava al punto a. La parola o il gesto di un artista dovrebbe agire da 'caos' nella realtà ordinata della vita quotidiana, o come dice lo scrittore J. Mayorga, dovrebbe essere "una mina pronta a esplodere".[19]

Grazie alla simulazione incarnata di cui al punto d, gli artisti sono in grado di influenzare la creazione di realtà virtuali, di comportamenti ed emozioni degli spettatori. Con le loro opere artistiche, assurgono a modelli comportamentali ed esistenziali, suggerendo alle persone realtà alternative a quelle vissute nel mondo reale, e stimolando la loro capacità creativa. I processi creativi si possono influenzare non solo agendo sugli input, ma soprattutto agendo sui codici culturali che inscriviamo nei bambini. Da qui scaturiscono le domande sulla responsabilità degli adulti e degli artisti nei confronti dei bambini in particolare; sulla funzione della violenza nei prodotti creativi dei media; sulla funzione del senso critico verso l'arte e la necessità di svilupparlo tra i giovani; sulla tecnologia che limita la creatività umana.

In quest'ultima riflessione, prendo in considerazione i video giochi o i film per bambini basati sulla violenza fine a se stessa. Grazie ai neuroni specchio sappiamo che la violenza potrà generarne altra nei comportamenti degli spettatori, sia in potenza che in azione. Del resto sarebbe utopico escludere del tutto la violenza dalla vita dei bambini e degli adolescenti. Allora, in che modo la si potrebbe trasformare da manipolazione creativa pericolosa a strumento creativo formativo? Per poterne limitare gli effetti, sarebbe necessario far sì che la violenza mediatica non restasse fine a se stessa, ma si canalizzasse sulla costruzione di possibili realtà positive.

Un'opzione sarebbe quella di associare alla violenza l'esperienza positiva come sua diretta conseguenza. Paragoniamo per un momento il bambino a un software di computer e il creatore del videogioco a un programmatore di computer. Così come il programmatore inscrive nuovi elementi nel software, l'artista potrebbe inscrivere una formula nel sistema del bambino. Così facendo, il bambino-spettatore potrà vivere potenzialmente l'esperienza della violenza, ma sarà proiettato sulla soluzione dei problemi e il suo sistema verrà "abituato" a una sorta di prassi, che collega la violenza a una via d'uscita, a una soluzione positiva. In un primo momento, la simulazione preparerà lo spettatore a creare nuove realtà possibili (virtuali). Poi, subentreranno i neuroni premotori (vedi punto d) come se fossero applicazioni del software e faranno sì che un individuo, previamente programmato, davanti a una scena violenta abbia gli strumenti concreti per reagire nel mondo reale. L'individuo quindi passerà dalla simulazione all'attuazione (o, nei nostri termini, passerà alla creazione di una soluzione)

In altre parole, i modelli artistici proposti dai media potrebbero plasmare il nostro sistema neurologico programmandolo in un modo piuttosto che in un altro. L''happy ending' troverebbe qui una sua base logica e risponderebbe alla responsabilità dell'artista. In virtù di quanto la scienza ci insegna, maggiore sarà il numero di stimoli positivi, maggiori saranno le possibilità di creare mondi virtuali positivi nei singoli individui. I sogni, realizzati o no, sono il nostro vero capitale e gli artisti devono poter costruire sogni.

Conclusione

Alla luce delle riflessioni esposte, si desume che l'atto creativo è un processo biologico insito nel 'sistema-persona', grazie al quale ogni individuo si innova e si rinnova costantemente. Dunque, è responsabilità degli artisti e dei creatori mediatici prendere in considerazione le strategie, i contenuti e le conseguenze dei loro prodotti soprattutto quando questi coinvolgono i bambini e gli adolescenti; focalizzarsi sull'esplorazione delle facoltà umane più che sullo sviluppo della tecnologia.

E' responsabilità della società, non solo valorizzare di più la funzione dei processi creativi nello sviluppo delle potenzialità umane a tutti i livelli sociali, ma garantire altresì lo sviluppo creativo come diritto umano e civile di tutti i cittadini.

 

How to cite | Come citare: Cafaro, Anna (2020), "Creatività, figlia del Caos. Un bisogno vitale." In lettere aperte vol. 7, pp. 7-23. [permalink: https://www.lettereaperte.net/artikel/numero-72020/451]

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Immagine in copertina: Ernesto Parmeggiani, Orfeo sul monte Radope, 1902; Copyright: Archivio fotografico del Museo Civico di Modena, CC BY-SA 3.0. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ernesto_Parmeggiani,_Orfeo_sul_monte_Radope,_olio_su_tela,_1902.TI