Il Wilhelm Meister della «Voce» nel cantiere del romanzo italiano

6. «durchaus prosaisch und modern»: il problema della discorsività

Spaini però non limita la sua riflessione al discorso morale. In cosa consiste concretamente questa modernità, quali sono a livello testuale gli elementi – di costruzione, di stile, di linguaggio – che rendono il Meister un testo moderno? Spaini, da traduttore, non può aggirare questa domanda, e si trova costretto a proseguire su un terreno più tecnico.

Per identificare tali elementi chiama dunque in causa uno dei principali critici del Meister: Novalis. La sua definizione negativa dell'opera goethiana – «durchaus prosaisch und modern» –, menzionata nel ricordo dell'Autoritratto, compare anche nell'introduzione del 1913. Novalis aveva criticato i Lehrjahre nei frammenti scritti  tra il 1799 e il 1800, nei quali il romanzo veniva dichiarato appunto «troppo prosaico e moderno», troppo limitato alle comuni attività umane («Er handelt blos von gewöhnlichen menschlichen Dingen»), borghesi e casalinghe («bürgerliche und häusliche Geschichte»), e pieno di discorsi impoetici sull'economia e sulle merci («Sehr viel Ökonomie [...] undichterisch im höchsten Grade», «die ökonomische Natur ist die Wahre») (Novalis 1983, pp. 638-639 [Fr. 505] e 646-647 [Fr. 536]). Spaini spiega questo contrasto tra Goethe e Novalis appunto sulla base della “modernità” di Goethe, il quale aveva vissuto nel giro di un anno (tra il 1795 e il 1796, subito prima di riprendere in mano il Meister) quello che per i suoi contemporanei sarebbe durato un quarto secolo. La nuova visione del mondo a cui Goethe è addivenuto si coglie bene, secondo Spaini, confrontando i passi che compaiono sia nell'Urmeister (scritto prima del 1795) che nei Lehrjahre: alcune scene, infatti, sopravvivono nella seconda versione, ma ora Goethe le racconta usando «altro stile, altro modo».

È il caso del famoso “elogio della partita doppia” formulato dall'amico Werner, il personaggio che incarna nel modo più completo quello spirito del commercio che Wilhelm rifugge: mentre nella prima versione del testo Werner è «un simbolo», un fantoccio che il narratore disprezza; nella seconda «egli è visto con altri occhi, ha una sua giustificazione, ha un suo diritto alla stima degli uomini; e Goethe è il primo a tributargliela» (Spaini 1913b, pp. 26-27). Ciò accade perché nell' Urmeister «il giudizio di Wilhelm sul commercio è lo stesso del poeta» (ibid., p. 25), mentre nella seconda stesura il mondo del commercio, nonostante Wilhelm continui a sentirsene distante, costituisce un secondo punto di vista legittimo sul mondo, che si esprime nella figura di Werner e in tutte quelle digressioni economiche e quotidiane che tanto spiacevano a Novalis. La legittimità di questo secondo punto di vista è tale che alla fine del romanzo – come ricordava giustamente Prezzolini a Spaini – Wilhelm “ripete a se stesso” le parole di Werner, arriva cioè a comprendere, a introiettare dialetticamente il punto di vista dell'altro.

Possiamo mettere meglio a fuoco questo aspetto spostando la lente sulla figura di Novalis. Sappiamo che, col progetto di “superare” il Meister correggendo quelli che ai suoi occhi appaiono come dei limiti, Novalis scrive, a partire dal 1798, l'Heinrich von Ofterdingen. A questo punto non sembrerà una coincidenza (ma semmai una riprova di come sia il contesto d'arrivo a orientare la logica delle traduzioni), il fatto che nel 1914 anche l'Ofterdingen esca in versione italiana – e ad opera di Rosina Pisaneschi, per la collana Antichi e Moderni di Borgese. Il problema del «durchaus prosaisch und modern» rimbalza dunque nella prefazione di Pisaneschi all'Ofterdingen, e più approfonditamente ancora nella sua tesi di laurea Saggio sullo svolgimento poetico di Novalis, discussa con Borgese nello stesso 1914. Pisaneschi, che per almeno due anni ha lavorato contemporaneamente al Meister e all'Ofterdingen, riprende il problema della modernità di Goethe facendolo emergere in modo forse ancor più perspicuo di quanto non faccia Spaini nel saggio della «Voce» – saggio che, per quanto uscito a firma singola, dev'esser stato comunque, se non scritto, almeno pensato a quattro mani.

L'argomentazione che Pisaneschi sviluppa nella tesi è infatti sostanzialmente la stessa: pur avendo perfettamente compreso la dottrina di Fichte, secondo cui «l'essere si afferma per mezzo della volontà di agire»,  Novalis confina lo sviluppo del suo protagonista entro uno spazio totalmente interiore, impedendogli proprio l'azione, il contatto con quella realtà materiale che si esprime prima di tutto nei prosaici e impoetici «discorsi sul commercio». Perciò, afferma Pisaneschi, «d'intendere la modernità a Novalis era precluso: la sua mente spazia al di fuori delle contingenze pratiche e quotidiane: in esse cerca il rapporto con l'infinito, ma i rapporti pratici tra la vita e l'individuo non riesce ad intenderli» (Pisaneschi 1914b, p. 68). Non solo: la visione di Novalis – e qui, rispetto a Spaini, c'è un passo ulteriore in chiarezza – ha una ben precisa ricaduta stilistica, visibile nel modo in cui vengono resi i modi di parlare dei personaggi: «Tra Heinrich e i mercanti non sapremmo trovare nessuna caratteristica che distingua i loro discorsi. Il dialogo tra Matilde e Enrico alla fine dell'ottavo capitolo si differenzia solo perché Enrico fa dei discorsi più lunghi: del resto potrebbe anche essere un monologo» (Pisaneschi 1914b, p. 118). Come nel caso dell'Urmeister (che infatti Novalis preferiva) la mancata resa dei diversi modi di parlare corrisponde a una negata legittimità dei diversi punti di vista sul mondo: l'effetto finale è dunque quello di un «monologo», di un assorbimento dei personaggi entro un'unica voce, ovvero quella dell'autore che si identifica con quella del protagonista. Manca insomma, fino ai Lehrjahre, quella che Debenedetti avrebbe più tardi chiamato discorsività (cit., p. 25), l'apporto delle parlate quotidiane, delle “voci altrui”, elemento che Spaini e Pisaneschi considerano evidentemente consustanziale al concetto di modernità. E che cercheranno coerentemente di rendere nel tradurre i testi in questione [14].

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