L’autonomizzazione del campo letterario italiano nel primo Novecento: i dintorni della «Voce»

Firenze nel sistema di “capitali” italiane

Facciamo ora un passo indietro, per riflettere sulle condizioni di possibilità di queste battaglie a partire dal luogo in cui si sono prodotte. Le riviste intorno a cui si coagula questa avanguardia nascono a Firenze: non nella capitale dell’editoria, che è già in questi anni Milano, né in quella della politica e del giornalismo, Roma.

In Italia non c’è infatti un’unica “capitale” – un luogo, cioè, in cui si concentrino gli individui dotati di maggior capitale simbolico nei diversi campi (economico, politico, culturale, mediatico ecc.), come avviene in Francia con Parigi (Casanova 1999, Charle-Roche 2009). L’Italia è caratterizzata da una pluralità di capitali anche in senso culturale: un policentrismo determinato tra l’altro, come ha suggerito Attal (2013, 9), anche dal policentrismo dell’accademia. Dopo l’Unità le antiche capitali regionali rimangono sedi universitarie di rilievo, e quindi centri di socializzazione e di avvio di carriere intellettuali, di produzione culturale e spesso anche editoriale.

Firenze è una sede universitaria prestigiosa – insieme a Torino e Bologna è il più importante centro della cultura positivista, e in particolare della versione letteraria del positivismo: la filologia e l’erudizione della Scuola Storica. L’attrattiva della città per intellettuali umanisti in formazione è accresciuta dal fatto che il capoluogo toscano è anche la capitale della lingua, il luogo dove sciacquare i panni sporchi della dialettalità: gli studenti d’oltreconfine, gli “irredenti” giuliani, trentini e triestini, ansiosi di nazionalizzarsi al meglio, si dirigono a Firenze piuttosto che in altre città italiane. La loro presenza costituisce un apporto importante, soprattutto per la «Voce» e «Lacerba»: il loro contatto con un altro sistema culturale ed educativo consente loro di fare da tramite per l’importazione di un repertorio di idee, modelli e opere dal mondo di lingua tedesca.

Università e scuole superiori sono una delle condizioni che consentono il consolidamento di campi di produzione culturale autonomi: gli studenti medi e universitari – che diventeranno a loro volta insegnanti medi o universitari – costituiscono infatti un pubblico in grado di valutare iuxta propria principia le opere intellettuali. All’inizio del Novecento questo pubblico ha acquisito una consistenza numerica decisamente superiore rispetto a cinquant’anni prima, grazie a quattro decenni di investimenti dello Stato unitario nella scolarizzazione.

I nuovi entranti che non riescono a entrare

Una dimostrazione, in un certo senso paradossale, del successo di questo investimento è la disoccupazione intellettuale che diventa un problema sempre più discusso nel primo Novecento: il mercato del lavoro intellettuale non è in grado di assorbire tutti i laureati, specialmente quelli in Lettere e Filosofia. La «Voce» dedica ampio spazio al problema fin dai primi numeri: la rivista ha appena due mesi di vita quando il direttore affronta il problema degli sbocchi professionali di letterati e filosofi, seguito a ruota dagli altri due autori più importanti attivi sulla «Voce» fin dagli esordi, Papini e Croce. Il 28 gennaio 1909 Prezzolini denuncia, nell’articolo Il giornalismo e la nostra cultura, come la spregiata professione del giornalista abbia finito per risultare concorrenziale rispetto alle tradizionali carriere accademica e letteraria; il 4 febbraio 1909 Croce invita I laureati al bivio a scegliere la dura ma formativa via dell’insegnamento secondario invece che la brillante ma dispersiva carriera giornalistica; Papini, infine, interviene il 18 febbraio a descrivere una realtà a lui ben nota: quella delle difficoltà affrontate dal Giovane scrittore italiano che, pur non essendo ricco di famiglia, non voglia darsi al giornalismo o all’insegnamento, né «imputtanarsi scrivendo roba qualunque per piacere alla gente».

 

Papini

 

Papini è una figura esemplare dell’isteria prodotta dalla frizione tra un alto senso di sé e l’effettivo riconoscimento sociale (ed economico): una frattura che è il tipico prodotto della disoccupazione e del precariato intellettuali. Si tratta di una situazione esplosiva, che genera un desiderio di far saltare “il Sistema” che cela in realtà il desiderio di far saltare “sistemi” più specifici: quelli dei campi intellettuali in cui i singoli aspiranti delusi e frustrati desiderano inserirsi. Questo desiderio, condiviso da giovani che aspirano a entrare in campi disciplinari diversi, rende possibili quelle alleanze che vediamo tessersi sulle pagine della «Voce»: tra scrittori e artisti, filosofi e critici letterari, teologi e musicisti.

La Voce reçoit tous ceux qui se trouvent alors à la lisière du pouvoir (académique ou politique), ou en marge de leur famille politique. En bref, tous se sentent en grande partie exclus du champ qu’ils ont choisi, l’art, la politique ou encore la carrière universitaire.

(Attal 2013, 45)

Potremmo riassumere i tratti di questa avanguardia definendola come un’alleanza di “nuovi entranti che non riescono a entrare”. Come tutte le alleanze di questo tipo, anche questa è precaria; ogni alleanza di nuovi entranti, infatti, tende ad avere obiettivi polemici comuni (ciò che genera, appunto, l’alleanza), ma non necessariamente comuni obiettivi: «Siamo accomunati qui nel “Leonardo” più dagli odi che dai fini comuni», scriveva Giuliano il Sofista, cioè Prezzolini, all’inizio del «Leonardo» (Prezzolini 1903, 4). La disparità degli obiettivi e degli interessi – radicati in traiettorie biografiche e sociali differenti – si manifesta attraverso le vicende di successive separazioni che segnano la vita del «Leonardo», della «Voce» e di «Lacerba», e che spesso portano alla nascita di nuove riviste: «Hermes» di Borgese nel 1904, «L’Anima» di Papini e Amendola nel 1909, «L’Unità» di Salvemini nel 1911, «Lacerba» stessa, che nasce nel ’13 dallo scontento di Papini e Soffici per la gestione prezzoliniana della «Voce». Prezzolini commenta ironicamente nelle sue memorie questa continua gemmazione dalla sua «Voce»: «Io stesso mi sentivo sacrificato e avrei voluto un periodico dove parlare a modo mio» (Prezzolini 1953, 97-98).

 

copertina Leonardo copertina Hermes

 

copertina L'Anima copertina La Voce

 

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